Il bambino ti sfida: ma davvero?

educazione genitorialità consapevole psicologia Feb 13, 2019

Molti genitori vedono alcuni comportamenti dei bambini piccoli come una “sfida”, una provocazione, un affronto che viene addirittura considerato da taluni come una precisa richiesta del bambino di vedere la propria reazione: “lo fa apposta per mettermi alla prova”, “lo fa per vedermi arrabbiata/o”.

Eppure, nulla di tutto questo è vero.

E poi, siamo sinceri, il comportamento di un bimbo non dovrebbe mai essere preso sul personale, indipendentemente dal fatto che si tratti di opposizione o di qualche comportamento che provoca fastidio nell’adulto.

Piuttosto, se qualche cosa ti infastidisce davvero molto prova a chiederti il perché. Disse molto bene C. Jung: “Se c’è qualcosa nel bambino che desideriamo cambiare, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo bene a cambiare in noi”.

Purtroppo, sull’argomento vi è davvero moltissima confusione, continuamente alimentata da svariate pubblicazioni che suggeriscono una varietà di soluzioni che rientrano nell’armamentario di una vecchia ideologia pedagogica (che mira a annientare la volontà del bambino e renderlo obbediente) decisamente obsoleta, e che sono totalmente controproducenti per quanto riguarda la crescita e sviluppo del bambino.

Il fine, come evidenziato in un articolo che ho letto di recente dove sono elencate una decina di “strategie per gestire le provocazioni del bambino”, è quello di far capire al bimbo che “la sfida non è il modo giusto per ottenere quello che vuole.”

Ma… analizziamo un po’ questa frase... Allora, la prima cosa da notare è che si parte dal presupposto che un certo comportamento del bimbo sia una sfida… e già qui dobbiamo fermarci subito! La sfida è un “invito provocatorio a misurarsi in duello” (Treccani)… e noi davvero ci sentiamo così tanto minacciati da un bambino di 1, 2 o 3 anni da sentirci obbligati a raccogliere il metaforico Guanto (che secondo l’antica tradizione cavalleresca viene gettato in faccia all’avversario per sfidarlo a un duello d’armi) e sguainare la spada?

E poi, il resto della frase che cosa vuol dire?

Semplice: il modo giusto per ottenere quello che si vuole (per te, bambino) è fare esattamente come dico io (adulto). In buona sostanza, se ti comporti come voglio io tutto okay, mentre se fai di testa tua allora sono guai. Detto molto semplicemente: devi sottometterti alla mia volontà (questa è l'ideologia pedagogica che ha dominato gli ultimi tre secoli). Obbedisci e verrai premiato, disobbedisci ed eccoti servita la punizione (e qui i metodi spaziano dalle percosse, a togliere i cosiddetti "privilegi", all'amore negato et cetera).

Il problema di fondo è che siamo vittime delle (vecchie) teorie e continuamo ad andare avanti sulle basi di premesse errate, credendo che il bambino si debba automaticamente genuflettere dinanzi alla volontà dell'adulto, e che il compito di quest'ultimo sia quello di educarlo (inteso come: plasmarlo a proprio piacimento).

E poi, peggio ancora, abbiamo una visione parecchio cinica dell’infanzia, e anche dell'essere umano se per questo. Anche se siamo nel XXI secolo, e non più nel Medioevo, taluni, basandosi su vecchie credenze del passato, ancora sostengono che possa addirittura esistere un cattivo lattante, e suggeriscono una varietà di modi per punire il bambino piccolo per dei comportamenti che ritengono indesiderati, in quanto deve essere “corretto” (bisogna estirpare subito la "malaerba").

Questa non è purtroppo una novità.

Già ai tempi di Salomone si credeva che fosse necessario correggere i fanciulli (a suon di verga), e con il passare degli anni le cose non sono cambiate. Il bambino è sempre stato letteralmente perseguitato in tal senso.

“Da sempre”, come ha sottolineato la psicoterapeuta e saggista svizzera Alice Miller, “la ‘testardaggine’, l’ostinazione, la caparbietà e la veemenza dei sentimenti infantili sono i lati del carattere che procurano agli educatori le maggiori preoccupazioni." E riferendosi agli ultimi due secoli di letteratura pedagogica aggiunge: “ Non ci si stanca di insistere sul fatto che non è mai troppo presto per cominciare a educare all’obbedienza.”

Già nel XVIII secolo (considerato il secolo dell'educazione), gli educatori sapevano molto bene che è del tutto normale che i bambini abbiano una loro volontà ma evangelizzavano che bisogna “eliminare l’ostinazione dai loro teneri animi” nei primi uno-due anni di vita, educandoli all'obbedienza (J. Sulzer, 1748). Detto altrimenti: la volontà del bambino deve essere stroncata con qualsiasi mezzo (anche con la violenza e altri mezzi coercitivi, dicevano).

Avere una volontà propria non è mai stato tollerato, in quanto ciò era considerato come un'ostinazione da combattere con ogni mezzo possibile. Gli educatori dicevano senza mezzi termini che questo era da considerarsi come “l’unico vizio che merita le busse.” (J. G. Kruger, 1752).

L’obiettivo è sostanzialmente quello di sottomettere il bambino e fargli capire chi comanda in perfetto stile: “Bisogna far sentire al bambino la propria autorità!” Non è forse una frase che sentiamo a tutt’oggi? I tempi saranno pur cambiati, e così i metodi (dalle punizioni corporali ai castighi/premi) ma l’obiettivo rimane comunque sempre lo stesso ed ha a che fare con il controllo, con l’ottenere ciò che l’adulto vuole dal bambino, attraverso l’imposizione della sua volontà su quest’ultimo (nella letteratura il controllo psicologico è associato in modo costante al disadattamento sociale).

In fondo, lo si fa “per il bene” dei figli, no?

Un tempo però non funzionava in questo modo. Se diamo un’occhiata a come vivevano i nostri antenati cacciatori-raccoglitori, scopriamo che diecimila anni fa i bambini erano molto più liberi di quel che sono ora e non erano costretti a sottomettersi alla volontà degli adulti. Poi, è arrivata l'agricoltura... e veloci avanti nel tempo arriviamo alla rivoluzione industriale...I bambini dovevano fare ciò che veniva loro detto, la loro volontà doveva essere resa obbediente. Poi sono arrivate le scuole, ma il fine è sempre stato questo: l'obbedienza.

Il pensiero di coloro che hanno largamente contribuito a mettere le fondamenta del sistema scolastico che conosciamo (gli architetti del sistema scolastico moderno, per intenderci) non lascia spazio a dubbi: “Soprattutto, è necessario rompere la naturale volontà del bambino.” (August Hermann Francke, teologo e pedagogo tedesco); “L’educazione dovrebbe mirare a distruggere la volontà personale, in modo tale da rendere le persone incapaci di pensare in modo diverso da quello insegnato loro.” (Johann Fichte, filosofo e professore universitario tedesco).

Di esempi ve ne sono molti, ma credo che questi siano sufficienti per comprendere come sono cresciuti i nostri avi, i nostri nonni, i nostri genitori, e molti di noi. Dalla culla, la nostra volontà è stata letteralmente soffocata ed è in questo modo che siamo stati deviati dal vero asse della nostra vita. Così, oggi ci ritroviamo a reagire malamente dinnanzi alle ostinazioni dei bambini e ci perdiamo in infinite lotte di potere, a loro spese — a spese della loro volontà personale. Lo facciamo anche con la vitalità, con la creatività e con l’immaginazione. Tutte queste cose ci infastidiscono, non riusciamo a tollerarle perché dentro di noi vi è una parte che soffre moltissimo… proprio perché da piccoli siamo stati deprivati di tutto questo: la nostra libera espressione è stata soffocata, la vita stessa inibita. Così, pur di non provare quel dolore immenso, facciamo lo stesso ai nostri figli tarpando loro le ali e facendoli diventare esattamente come noi.

In fondo, come dicono molti di coloro che difendono/promuovono i vecchi metodi educativi: "nonostante tutto, siamo cresciuti bene", no? Ecco, dovremmo smetterla di raccontarci queste panzane perché non abbiamo possibilità di sapere come saremmo ora se non fossimo stati condizionati e limitati dalla volontà altrui (e questo è un grossissimo problema, alla base di tutti gli altri problemi: nessuno è chi sarebbe diventato se non fosse stato educato a essere come gli altri vogliono). E se ci pensiamo su un attimo, cosa ne sappiamo della nostra volontà, visto che non l'abbiamo praticamente mai esercitata, abituati come siamo a vivere quella degli altri come se fosse la nostra?

E per quanto riguarda la vocazione?

Forse lo abbiamo dimenticato, ma noi siamo il nostro progetto di vita e siamo al mondo per trasformare il nostro potenziale in realtà... per realizzare noi stessi! Ma anche qui, ahimè, s'è perso il senso della vita. Il senso della vocazione è andato perduto: non a caso 9 persone su 10 non trovano un senso in ciò che fanno (State of the Global Workplace report 2013 e 2017).

Lo psicologo statunitense James Hillman lo aveva capito molto bene e sapeva che “La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere il bambino contro il nostro mondo, mentre servono forse a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene.” Da questo noi dobbiamo partire. Dal fatto che il bambino porta con sé il suo mondo, i suoi doni, i suoi talenti straordinari. Il bambino viene al mondo per diventare le sue potenzialità, come noi tutti. Ha una sua volontà, ed è molto importante che la eserciti e non venga limitato in tutti i modi da quella dell’adulto.

Il bambino non si comporta in un certo modo per testare o mettere alla prova l’adulto, ma sta esercitando la sua volontà e questo va rispettato. Perché limitarlo e non permettergli di sperimentare se stesso? Perché imporsi a tutti i costi? (qui, sia chiaro, non sto dicendo che non ci vogliono delle chiare regole, ma semplicemente che il bambino non va inutilmente limitato e represso).

Forse perché fa comodo così... O magari perché è comune partire dal presupposto che siamo noi adulti il metro e misura di tutte le cose, e che il bambino è un essere inferiore, incompleto. Una cera molle da plasmare, modellare e da “far crescere” come noi vogliamo… Insomma, un "essere irrazionale" (così dicevano un paio di secoli fa) che si deve adattare al mondo degli adulti. Perciò, dalla culla il bambino deve essere educato all’obbedienza attraverso tutta una serie di tecniche di condizionamento precoce snocciolate qui e là da chi vuole telecomandarne il comportamento.

Addirittura, taluni affermano pure che i bambini non sanno scegliere e che anche questo è compito dell’adulto (in pratica, quello di sostituirsi al bambino... e magari poi pretendere che un giorno diventi un adulto autonomo e indipendente?). E così, il bambino si trova di fronte a continue interferenze, forzato a sottomettersi continuamente all’iniziativa e al volere dei “grandi” e questo disturba lo sviluppo della sua individualità, impedendogli di acquisire le competenze che gli sono necessarie e di costruire la sua vita interiore e imprigionandolo in una personalità.

Tutto ciò è estremamente nocivo in termini evolutivi.

Questa repressione pedagogica, sociale e morale della volontà è il problema numero uno con cui siamo confrontati, perciò… la prossima volta che credi che tuo figlio ti stia provocando o in qualche modo sfidando, spero che avrai modo di pensare a queste parole e invece che reprimerlo inutilmente terrai in debita considerazione che anche lui ha una sua volontà propria e che la volontà va esercitata non sugli altri, ma solo ed esclusivamente su se stessi.

La vecchia ideologia pedagogica sostiene che il bambino deve imparare a seguire non se stesso ma qualcun altro... e come dimostra l'esperienza concreta sull'arco di tre secoli questo porta a conseguenze disastrose. Il nuovo concetto che dobbiamo applicare è diametralmente opposto: ognuno deve seguire se stesso...

Ognuno deve seguire la sua Chiamata. Ogni bambino è un leader, e questo a livello educativo stravolge i parametri a cui siamo stati abituati attraverso la nostra formazione, istruzione e cultura. Infatti, si tratta di un cambio di paradigma non indifferente e implica seguire il bambino, consapevoli del fatto che egli ha una sua volontà personale e sappia cosa è meglio per lui, piuttosto che dirigerlo e indirizzarlo dove e come vogliamo noi. Noi infatti non conosciamo la sua vocazione e non sappiamo qual è la speciale funzione che egli sarà chiamato a compiere, dunque non possiamo insegnargli a diventare questo o quello (e neppure possiamo sapere cosa è meglio per lui), ma la soluzione migliore è seguirlo e permettergli di essere e divenire liberamente ciò che è (i bambini vengono al mondo biologicamente programmati per educare e realizzare se stessi. Hanno una innata capacità di auto-apprendimento e vanno supportati a realizzare ciò che vogliono, piuttosto che interferire continuamente nella loro vita, in quanto questo è l’errore fondamentale alla base di tutti i problemi).

"L'individuo deve, cioè, divenire da sé quello che è, e non trasformarsi, come accade nell'educazione e nella terapia psicoanalitica, in un buon cittadino che accetta senza obiezioni l'ideale generale, deprivato di una propria volontà personale. Questo, infatti, è lo scopo dichiarato della cura pedagogica di Adler: livellare, pareggiare. Prinzhorn ha, dal canto suo,scoperto un intento analogo, sebbene non apertamente ammesso, in Freud: la psicoanalisi si presenta come rivoluzionaria, ma in realtà è conservatrice. Chi comprende anche solo minimamente la psicologia della volontà sa che un simile conservatorismo è il mezzo migliore per produrre rivoluzionari e uomini di volontà, che però sono spinti nella nevrosi non appena intendono far valere la propria volontà. L'individuo che soffre della repressione pedagogica, sociale e morale della volontà deve assolutamente imparare di nuovo a volere. L'uomo deve diventare quello che è, lo deve volere e realizzare da sé, senza costrizione o giustificazioni e senza il bisogno di addossare ad altri la responsabilità." Otto Rank

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).

Photo by Varshesh Joshi on unsplash

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