Il tuo turno è adesso

leadership vita intenzionale Aug 13, 2019

Viviamo in un mondo sempre più distratto, che corre veloce.

Una società dove molti si sono adagiati a vivere una vita superficiale, arida di valori e ideali. Una società dove è molto facile perdere di vista i propri obiettivi e il proprio scopo. Tant’è che il senso della vocazione è andato perduto, insieme al senso della vita.

Come emerge dalle ricerche condotte dalla società Gallup a livello planetario (in 141 paesi nel 2013 e in 155 nel 2017, State of the Global Workplace report) nove persone su dieci non trovano un senso in ciò che fanno. Non hanno per mestiere la propria passione; e si trascinano dal lunedì al venerdì, nella lamentela.

Tutte queste persone hanno tradito se stesse, accettando il compromesso con la mediocrità.

Non vivono una vita straordinaria. Infatti, come ci ricorda Jim Collins, “È impossibile vivere una vita straordinaria, a meno che non sia una vita significativa; ed è davvero difficile vivere una vita significativa senza fare qualcosa di significativo.”

Il lavoro, si sa, ricopre un ruolo molto importante nelle nostre vite: ci passiamo circa il 35% della nostra vita adulta, o 100’000 ore (Revise sociology, 2016) e indipendentemente dallo stipendio, dai bonus, dalla promozione, et cetera se non facciamo qualcosa che per noi è importante e significativo, anche la nostra vita diventerà insignificante e priva di senso.

Questo, va detto, non dipende dal tipo di lavoro che si svolge. Come sosteneva Abraham Maslow, “vale la pena evidenziare che non importa quanto sia banale un compito – lavare i piatti o pulire le provette – ogni attività acquista o perde significato in virtù della sua partecipazione o meno al conseguimento di uno scopo significativo, importante o che ci sta a cuore.”

A tal proposito, una significativa ricerca condotta da Alaina Love, Presidente di Purpose Linked Consulting, dimostra come passione e scopo siano intimamente connessi. In altri termini, anche se un lavoro può essere considerato mediocre, non si può dire la stessa cosa del modo in cui lo stesso è svolto, e questo dipende dallo scopo che si cela dietro quel che si fa.

La passione può essere definita espressione della propria vocazione, e il punto focale è proprio questo. La passione siamo noi stessi, la nostra energia. Non una carriera, un lavoro, o un titolo. È il modo in cui facciamo le cose. Per questo è fondamentale avere uno scopo, e funzionare intenzionalmente facendo tutto ciò che è necessario compiere per raggiungerlo.

Al contrario, se non abbiamo uno scopo e consideriamo il nostro lavoro insignificante o senza senso non siamo granché appassionati e non stiamo dirigendo le nostre energie in modo intelligente (in tal caso, non stiamo vivendo una vita intenzionale e ispirata ed è bene che apportiamo immediatamente dei correttivi per correggere il tiro).

In realtà, qui non stiamo parlando del lavoro come un semplice impiego, ma della nostra felicità e realizzazione personale, che non sono la stessa cosa. Sentirsi realizzati non significa provare felicità (ci si può sentire felici sul lavoro per una promozione, per un bonus, per un nuovo cliente o un progetto andato a buon fine ma questo non significa sentirsi realizzati). Lo spiegano molto bene David Mead e Peter Docker: “Ci sentiamo realizzati solo quando c’è un legame diretto tra ciò che facciamo e il nostro PERCHÉ.” (…) “La felicità è determinata da che cosa facciamo. Il senso di realizzazione, invece, è legato a perché lo facciamo.”

Dunque, perché facciamo quel che facciamo?

Nella maggior parte dei casi non lo sappiamo. Se proviamo a chiedere a 100 persone perché fanno quel che fanno, nel 99% dei casi si troveranno in difficoltà. La ragione è molto semplice: nessuno è chi sarebbe diventato se non fosse stato educato a vivere la volontà altrui come propria.

Funziona in questo modo. Ciascuna persona viene al mondo per un’intenzione — per necessità di vocazione. Ognuno di noi viene alla luce portando con sé i suoi doni e talenti straordinari, che però (e purtroppo) per molti rimangono inespressi a causa del modo in cui veniamo “programmati”.

Questa non è esattamente una novità. Ci sono già passati i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri avi. Come conseguenza, veniamo al mondo attraverso persone che non sanno perché sono al mondo e che impongono il loro mondo su di noi…

Si tratta di un problema di natura transgenerazionale, che va avanti da parecchio tempo.

Concretamente, da bambini un senso innato di meraviglia ci contraddistingue. Siamo molto curiosi. Veniamo al mondo con tutte le capacità per educare e realizzare noi stessi, abbiamo una illimitata capacità di apprendere e guardiamo a ogni esperienza con occhi sempre nuovi.

Il problema è che sin da subito veniamo educati sulle basi di un’ideologia pedagogica alquanto limitante, che da tre secoli domina la scena educativa. Il bambino è visto come un essere irrazionale e incompleto, da sottomettere e modellare a proprio piacimento.

Sin dalla culla dobbiamo imparare a seguire non noi stessi ma qualcun altro. Prima ancora di porci delle domande, ci viene detto chi siamo… che le cose si devono fare in questo o quel modo (non si viene permesso di sperimentare, sbagliare, divagare)… e che per diventare qualcuno dobbiamo fare questo o quello (e qui il fatto che in quel momento non siamo nessuno, e che ci dobbiamo trasformare piuttosto che realizzare ciò che siamo è implicito).

Crescendo, ci viene detto più volte, e in una varietà di modi, che ciò che vogliamo non è possibile. Che “L’erba voglio non cresce neppure nel giardino del Re.” Che dobbiamo smetterla di vivere nella nostra immaginazione, che dobbiamo avere “i piedi per terra” e conformarci a quella che gli altri definiscono essere la realtà… che dobbiamo colorare entro le linee, mantenere un profilo basso… non uscire dai confini tracciati dai limiti che altri ci impongono… fare come fanno gli altri… smetterla di sognare e non puntare troppo in alto… altrimenti ci bruceremmo le ali, come Icaro…

Attorno a noi, tutto ci spinge verso il conformismo… famiglia… scuola… religione… i media… tutti vogliono dirigere la nostra attenzione e dirci cosa dobbiamo fare e come dobbiamo essere… e nella nostra innocenza crediamo a quel che ci viene detto… concedendo la nostra fede agli altri, piuttosto che a noi stessi… e allontanandoci sempre più dalla nostra vera essenza.

Nessuno ci dice che andiamo bene così come siamo, e che nella vita dobbiamo seguire noi stessi. Tutti cercano di plasmarci secondo quella che è la loro concezione della vita.

Nella società in cui viviamo e lavoriamo si ha molta fretta di far socializzare i bambini, di insegnare loro… di educarli, di trasformarli come accade in un processo industriale (da materiale grezzo a prodotto finito). Ai bambini non viene permesso di essere e divenire ciò che sono. Lo scopo dichiarato è quello di livellare, pareggiare (come sosteneva Otto Rank, nell’educazione, così come nella terapia psicoanalitica, il fine è quello di trasformare l’individuo “in un buon cittadino che accetta senza obiezioni l’ideale generale, deprivato di una propria volontà personale”).

La pressione è sempre maggiore e vi è la forte tendenza a volerli addestrare secondo una mentalità fortemente scolarizzata sin dai primissimi anni di vita. Fra obblighi scolastici e attività organizzate dagli adulti, se paragonati ai nostri nonni e i nostri genitori, quelli della nostra generazione hanno avuto meno tempo per giocare, per scoprire e sperimentare se stessi, per dedicare del tempo a quelli che erano i propri interessi… e i bambini di oggi non ne hanno praticamente più.

È esattamente questo il motivo per cui molti adulti hanno le idee molto confuse riguardo ciò che vorrebbero avere, fare, diventare. Per il semplice fatto che da bambini non ci è stato concesso di scoprire chi siamo e qual è il nostro scopo nella vita…

In questo modo, la motivazione intrinseca viene letteralmente soffocata… Ad oggi, purtroppo, molti addirittura sostengono ancora che non esista. È invece importantissimo che il bambino abbia il tempo necessario per seguire i suoi interessi e per giocare… Fondamentalmente, per educare/realizzare se stesso.

In relazione a ciò, per aprire una parentesi: sempre più studi e ricerche dimostrano che gli effetti di più autonomia e indipendenza sono molto positivi:

  • Da uno studio emerge che, paragonati a coloro che non hanno avuto le stesse opportunità, i bambini che godono di più libertà vengono giudicati dai maestri come più creativi, curiosi, indipendenti, intraprendenti, e sicuri di sé (Testing aspects of Carl Rogers’ theory of creative environments: child-rearing antecedents of creative potential in young adolescents, Harrington DM, Block JH, Block J, (1987), Journal of Personality and Social Psychology).
  • In generale, più autonomia è relazionata a una miglior performance in attività che richiedono creatività e flessibilità mentale, a migliori e più soddisfacenti relazioni interpersonali, a maggior benessere psicologico, e più resilienza a livello mentale e soddisfazioni nella vita (The significance of autonomy and autonomy support in psychological development and psychopathology, Ryan RM, Deci EL, Grolnick WS, La Guardia JG, (2006), American Psychological Association).
  • In aggiunta, i bambini che hanno più autonomia e tempo per realizzare ciò che vogliono (piuttosto che seguire delle attività strutturate dagli adulti) ottengono dei migliori risultati nei test per valutare le funzioni esecutive (test da cui si può prevedere le abilità future in termini di problem-solving) di coloro che hanno avuto meno tempo libero (Less-structured time in children's daily lives predicts self-directed executive functioning, Barker JE, Semenov AD, Michelson L, Provan LS, Snyder HR, Munakata Y, (2014), Frontiers in Psychology).

I risultati di queste ricerche suggeriscono che i bambini a cui è stata concessa la libertà di seguire i loro interessi e strutturare le loro attività in modo tale da realizzare ciò che vogliono diventano adulti insolitamente (auto) determinati, intraprendenti, creativi.

L’apprendimento attraverso attività auto-dirette è decisamente molto efficace e più in linea con le richieste dell’era in cui oggi viviamo. Come ha affermato il Professore di psicologia all’Università di Torino Gian Piero Quaglino, l’auto-apprendimento è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca, e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che qualcos’altro che gli viene imposto da terzi. Così come imparano a parlare, i bambini possono imparare anche tutto il resto e diventare adulti realizzati e di successo, rimanendo allineati al vero asse della loro vita (per dirla nelle parole dello psicoanalista austriaco Otto Rank: “L’uomo deve diventare quello che è, lo deve volere e realizzare da é, senza costrizione o giustificazione e senza il bisogno di addossare ad altri la responsabilità”).

Con la rivoluzione industriale, la scuola è diventata sempre più simile a una fabbrica. Così come accade nel processo industriale, noi tutti siamo stati messi da subito sulla metaforica catena di montaggio, ideata appositamente per forgiare consumatori psichicamente schiavizzati e lavoratori a basso costo e obbedienti che avrebbero lavorato bene nel sistema. (e purtroppo, a scapito delle conoscenze che abbiamo oggi, e del fatto che viviamo in una nuova economia, continuiamo a ripetere lo stesso schema anche con le nuove generazioni…).

Obbedisci.

Produci. Consuma. Crepa.

È successo a tutti noi. Questo è ciò che ha contraddistinto la vecchia era, dominata da un’educazione di massa appositamente ideata per rispondere al fabbisogno dell’economia industrializzata, e certamente non per sviluppare le potenzialità di ogni singola anima.

In un passato non troppo remoto era comune pensare che una buona formazione (il titolo di studio è l’ultima tappa della catena di montaggio) avrebbe portato a un buon impiego, e che un lavoro ben remunerato (il tipico “posto fisso”) era ciò a cui ambire. Molti hanno dunque scelto la loro via professionale basandosi su quanto avrebbero guadagnato, o comunque ciò che sarebbe stato “più pratico”, piuttosto che interrogarsi su ciò che volevano veramente fare nella loro vita.

La società “moderna” ci ha ipnotizzati con uno stile di vita assurdo, che ha ampiamente condizionato la vita delle generazioni precedenti. Se pensiamo ai nostri nonni, e anche ai nostri genitori... possiamo vedere come la maggior parte delle persone abbia vissuto la vita preparandosi per la pensione.

Molti sono scesi a compromesso con le aspettative altrui. Hanno fatto per quaranta o cinquant’anni un lavoro che non corrispondeva alla loro Vera Volontà e si sono illusi nutrendosi di autosuggestioni, pensando (erroneamente) di trovare la libertà di poter fare ciò che veramente volevano all’età del pensionamento... dopo aver fatto il proprio “dovere” (da notare che il rimpianto più comune delle persone in punto di morte è proprio quello di non aver avuto il coraggio di vivere la vita che veramente avrebbero voluto, ma di essere invece scese a compromesso con le aspettative di terzi).

Oggi sappiamo che non è così che funziona… ma purtroppo sono ancora troppi i casi dove l’ardimento lascia spazio alla codardia. Al conformismo di una vita piatta e miserevole. Come conseguenza, si cerca dunque di medicare l’ombra di se stessi con tutti i rimedi possibili.

Quando ciò che facciamo non corrisponde alla nostra Vera Volontà, fuggiamo in un gioco di apparenze artificiale e fasullo, per mostrare ciò che in realtà non siamo.

Siamo superficiali. Artificiali.

A causa della repressione pedagogica, sociale, morale della volontà abbiamo adottato uno stile di vita che infiacchisce, invecchia, ci fa ammalare.

Totalmente inconsapevoli del nostro potere personale e incapaci di esercitarlo su noi stessi reagiamo passivamente alle circostanze della vita, invece che creare in modo attivo la realtà di vita che veramente vogliamo.

Preferiamo imbottirci di rassicuranti bugie, piuttosto che assaggiare la scomoda verità. Ovvero, che abbiamo tradito noi stessi e stiamo sprecando il dono più meraviglioso di tutti: la nostra vita.

Molti vivono in balia delle loro preoccupazioni perché manca loro un lavoro che li occupa. Non perché non hanno un lavoro, ma per il semplice fatto che non hanno un’occupazione che li assorbe: non hanno per mestiere la propria passione!

Per definizione, in senso etimologico, il lavoro è l’impiego di un’energia per raggiungere uno scopo determinato. In senso figurato, trattasi di volgere la volontà, l’intento, l’opera a qualcosa... Eppure, nell’immaginario del sistema mentale collettivo la definizione che abbiamo abbracciato è “fatica”, “sforzo”... qualcosa da evitare a tutti i costi. Bisogna lavorare duro e faticare per ottenere qualcosa, è comune pensare. Un po’ come se il lavoro dovesse giocoforza essere una sofferenza, una pena da scontare.

Personalmente, credo che sia necessario rivedere questo concetto di “lavoro” e ripristinare il senso e l’importanza della vita: c’è una ragione per essere vivi e che non si tratta solo di lavorare dalle 9:00 alle 18:00 per pagare le bollette.

Non facciamo però confusione. Qui non si tratta di appoggiare le teorie che sostengono che gli over 40 dovrebbero lavorare solo 3 ore al giorno, oppure che il lavoro sia schiavitù (okay, dipende da come lo si intende/vive…), o il rifiuto del lavoro in generale. Anzi, io amo quel che faccio ed è mia precisa intenzione svolgere il mio mestiere fino alla fine dei miei giorni. Per molti non è però così, neanche per me lo è sempre stato.

In passato, anche io ho sperimentato delle deviazioni di percorso e sono uscito dai binari della mia chiamata – della mia vocazione. Inseguendo dei falsi obiettivi, mi sono lasciato risucchiare da un sistema che oggi considero altamente disfunzionale. Non vivevo una vita ispirata e, se per questo, non conducevo neppure una vita equilibrata. Non facevo ciò per cui sono venuto al mondo.

Un tempo, anche io aspettavo di essere scelto. Ho fatto lavori che non mi aggradavano, pensando di non avere alternative. Ho accettato degli sconvenienti compromessi, e ho tradito me stesso. Come molti, anche io sono stato umiliato, sfruttato, maltrattato.

Ero infelice, insoddisfatto e il lavoro era un fardello. Gradualmente, non mi ero reso conto di essermi allontanato sempre più da me stesso, finché la mia vita perse di significato.

Tutto è cambiato quando ho iniziato a pormi delle serie domande su chi ero io, cosa volevo veramente, su cosa era veramente importante per me e ho deciso di inseguire le mie aspirazioni fondamentali e fare ciò per cui sono nato.

A tal riguardo, io sono convinto del fatto che ognuno di noi abbia una sua particolare funzione da svolgere nella vita (che ci è propria, e di nessun altro) e credo che per tutti il lavoro dovrebbe tornare a essere un’opportunità per esercitare i propri doni e talenti, per realizzarsi al meglio. Non dovrebbe essere un calvario o un groviglio di preoccupazioni.

Se ognuno seguisse la propria vocazione, tutti vivrebbero una vita creativa e non vi sarebbe competizione (la vocazione non ha rimpiazzi), e neanche disoccupazione (la vocazione è una chiamata personale, unica per ognuno di noi). Insomma, se ciascuna persona seguisse la sua missione, ognuno potrebbe manifestarsi liberamente per ciò che è e realizzare l’immagine che porta nel suo cuore.

Non solo questa sarebbe una vittoria per l’economia in generale, ma se ognuno si dedicasse alla propria arte si sprigionerebbe un’energia creativa senza limiti e ciò darebbe vita a una società decisamente diversa da quella che conosciamo oggi.

Una società dove regna l’armonia, invece che la paura e l’insicurezza.

Per questo io credo che il lavoro sia molto importante (bada bene però, con questo non mi riferisco al lavoro come viene inteso oggi da molti e che, nel feudalesimo moderno in cui viviamo, è praticamente una forma di schiavitù…). Quel che intendo è dirigere i propri sforzi verso la realizzazione del proprio scopo.

Come ha scritto Sándor Márai: “Gli uomini non desiderano soltanto un’occupazione mediante la quale guadagnarsi da vivere, ma la possibilità di seguire la propria vocazione”. In altre parole, essere ciò che siamo e divenire ciò che siamo capaci di divenire. L’unico scopo della vita, secondo il filosofo Spinoza. L’auto-realizzazione, per dirla nei termini di Maslow (“Ciò che un essere umano può essere, deve essere”).

Per questo nella mia visione immagino un mondo dove tutti vivono una vita ispirata dalla propria vocazione: una vita intenzionale! E il miglior suggerimento che ti posso offrire in tal senso è chiederti che cosa è veramente importante per te, e dirigere le tue energie intelligentemente verso la tua realizzazione!

Il punto è questo: se l’artista interiore che è in te è all’opera, sai esattamente cosa vuoi e stai realizzando il sogno nel tuo cuore proponendo al mondo la tua arte allora non posso fare altro che complimentarmi con te e incitarti a fare sempre del tuo meglio, ma per quanto riguarda la maggior parte delle persone non è così.

Magari hai un buon lavoro. Forse stai salendo la scaletta aziendale e come ti dicono tutti... non puoi lamentarti... e anzi, ritieniti una persona fortunata che un lavoro ce l’ha! Ma tu sai che dentro di te vi è una parte che non si accontenta... Quella parte, che in qualche modo cerchi di anestetizzare, sa bene che non stai compiendo e realizzando ciò per cui sei al mondo... (profondamente e intimamente dentro di te solo tu puoi sapere la risposta).

D’altro canto, spesso facciamo quel che facciamo perché non immaginiamo altra via, oppure perché abbiamo seguito un certo percorso e crediamo che cambiare sia impossibile... oppure che siamo troppo “vecchi” per fare altro... o che non possiamo monetizzare le nostre passioni o guadagnarci da vivere con ciò che amiamo fare.

In verità, sappi che non si è mai troppo né troppo vecchi (né troppo giovani, se per questo) per cambiare!

E per quanto riguarda i soldi, prova a chiederti che cosa faresti nella tua vita se i soldi non fossero un problema. Faresti ciò che stai facendo adesso? Molti rispondono frasi tipo: “Vorrei tanto avere per mestiere la mia passione... ma come farei a guadagnare?”. A tal riguardo, quel che oggi dobbiamo comprendere è che siamo in una nuova economia e ci sono grandiose possibilità di monetizzare le proprie passioni.

Ascoltati profondamente... Cosa vuoi, veramente? Che cosa ti piace veramente fare? Quali sono i tuoi veri interessi? I TUOI, non quello che vuole tua mamma, tuo papà, la nonna, il nonno, il partner, la maestra di scuola o il capo al lavoro!

Cosa brama ardentemente il tuo cuore? Quale strada ti sta aspettando?

  1. Le alternative, è importante che tu lo sappia, sono queste:continuare a lamentarti facendo una vita che non ti soddisfa pienamente (dirigendoti inesorabilmente verso la disperazione del rimpianto per non aver vissuto una vita autentica), o
  2. cambiare prospettiva e trovare un significato in ciò che fai e gioire delle tue giornate, oppure
  3. iniziare finalmente a realizzare ciò che veramente fa vibrare il tuo cuore e la tua anima!

Ricorda: puoi vivere la vita che tu vuoi o conformarti alle aspettative degli altri. Non entrambe le cose.

Dunque, non posticipare più la tua vita e inizia a pensare che puoi fare di te ciò che desideri.

Siamo oggi nell'età dell'immaginazione e non ci sono limiti a ciò che si può fare. Il progresso è frutto della creatività umana e la realtà che viviamo trova la sua origine nella nostra straordinaria capacità di immaginazione. Se ci pensi, solo vent'ani fa le possibilità che abbiamo oggi parevano inimmaginabili. Opportunità di accedere all'informazione, alla formazione, a video-corsi online; opportunità di comunicare quasi con chiunque a livello planetario, di connessione, di lavorare da remoto... Tutto si sta trasformando molto velocemente e radicali innovazioni possono accadere in brevissimo tempo. Praticamente, ogni persona che possiede un computer e una connessione ha nelle mani gli stessi strumenti dei top della propria industria di riferimento... Ciascuna persona può sbizzarrirsi nel creare ciò che vuole e non ci sono limiti in tal senso.

"Se puoi immaginarlo, puoi farlo." Walt Disney

Puoi diventare ciò che vuoi…

Credici!

Anticipando eventuali obiezioni, il problema è semmai che 1) non sai cosa vuoi, 2) pensi di non poterlo ottenere.

Sappi però che niente di ciò che puoi immaginare è impossibile da realizzare.

Per prima cosa devi decidere cosa vuoi veramente. Questo, ovviamente, è un passo fondamentale. E tieni presente che puoi davvero fare tutto ciò che vuoi. Forse in alcuni settori hai delle capacità naturali più spiccate, ma ricorda che il talento si può sempre sviluppare e con lo sforzo necessario puoi realizzare qualsiasi talento.

Inoltre, è basilare iniziare a pensare in termini di possibilità. Se vuoi migliorare la tua qualità di vita e raggiungere un nuovo livello di performance è necessario che tu acquisisca nuove abitudini e una mentalità vincente che ti permetteranno di trasformare il tuo potenziale in realtà.

La parola impossibile deve essere cancellata dal tuo vocabolario ed è fondamentale che tu esca al più presto dalle ipnosi delle idee negative: “non posso”, “non credo”, “non sono degno”, “non merito”… insomma, dalla consapevolezza di non essere ciò che vuoi. Inizia invece a credere nuove cose su di te… a raccontarti storie vittoriose su di te e sul tuo potenziale (bando alla negatività!)… sbarazzandoti di qualsiasi atteggiamento mentale limitante e dando spazio alle possibilità che stanno cercando di esprimersi attraverso di te.

Basta con le scuse. Non mentire più a te stesso. Non dire che un giorno cambierai… quando avrai più tempo, più soldi, più successo… e farai quel che veramente vuoi quando ne avrai la possibilità… quando i figli saranno più grandi, quando avrai finito di pagare la casa, quando arriverà il momento giusto… (o che sarai finalmente libero quando sarai in pensione… che assurdità!).

Smettila di aspettare quel giorno che non arriverà mai e agisci per cambiare la tua vita adesso!

Ora è il tuo momento.

È tempo di abbandonare la mentalità della vittima e indossare i panni del leader, iniziando a seguire te stesso.

È il tuo turno!

“Prima dì a te stesso cosa vorresti essere; poi fai ciò che devi fare.” (Epitteto)

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).

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