Perché non dico bravo ai miei figli (e neanche tu dovresti)

educazione genitorialità consapevole leadership Nov 19, 2018
 

Al giorno d’oggi, il messaggio che stiamo dando ai nostri ragazzi è che da loro ci aspettiamo che siano “bravi”: che l’importante è che si conformino ai nostri standard e alle nostre aspettative.

Nella nostra società abbiamo una visione parecchio adultocentrica, e non guardiamo le cose dal punto di vista dei bambini ma dall’alto del piedistallo su cui ci siamo messi.

Riflettiamo su questo con l’aiuto di un banalissimo esempio: quando nostro figlio è appena nato tutti ci chiedono: “È bravo? Vi lascia dormire?” Questa è una delle tante domande sciocche che si dicono tanto per dire. Ma, mi chiedo, perché dare giudizi valoriali in tal senso? E poi, potrebbe forse essere in qualche modo cattivo, o comunque non bravo? Un neonato? Maligno proprio se intenzionalmente si impegna a svegliarci di notte perché ha fame… "Ma, bimbo mio, non sai che io lavoro tutta la settimana e di notte ho bisogno di dormire?! Importanti sono i miei di bisogni, mica i tuoi… che metto in secondo piano… e guarda che lo so che cerchi di approfittarti di noi come dicono alcuni psicoanalisti. Mica mi freghi!". (ancora oggi, purtroppo, taluni pensano addirittura che esista il cosiddetto cattivo lattante...).

Scioccante, no? Eppure, in molti casi questo è il pensiero di fondo, per il semplice fatto che la maggior parte degli adulti è mossa da un deficit; e i bisogni del bambino non vengono dunque messi in primo piano, come dovremmo (e sarebbe naturale) fare.

In generale, nella nostra società è palesemente insita la tendenza a considerare “bravi” e “ben educati” i bambini che non creano problemi, che non danno fastidio, che non rompono le scatole, che si dimostrano accondiscendenti e remissivi, che eseguono i nostri ordini senza fiatare e che ovviamente non disturbano il nostro egocentrismo. In una parola: obbedienti.

In fondo, questo è sempre stato l’obiettivo della vecchia educazione: formare sudditi obbedienti.

Obbendiente è colui che si sottomette ai propri voleri. Negli ultimi tre secoli gli educatori lo hanno detto chiaramente, in una varietà di modi: la volontà del bambino va annientata nei primi anni di vita. E ancora oggi, sulle basi di questa ideologia pedagogica distorta, dai bambini pretendiamo rispetto (ma il bambino non gode dello stesso rispetto che l’adulto pretende), ci aspettiamo che facciano ciò che noi vogliamo, e pure che pure che abbiano successo nella vita secondo la nostra concezione di cosa è il successo (solitamente ricchezza materiale e status).

Stando a dei metodi educativi decisamente antidiluviani, ma ancora in voga ai nostri tempi, si pensa ancora che il compito dei genitori sia quello di rendere docili e mansueti quei piccoli tiranni dei nostri figli e avvezzarli a vincere la loro volontà.

La disciplina, come ancora intesa da molti, non è altro che cieca obbedienza.

Oggi, apparentemente i metodi per ottenere ciò che si vuole sono forse cambiati — dalle punizioni corporali ai castighi/premi — ma l’obbiettivo rimane sempre lo stesso: il controllo (del comportamento/psicologico: nella letteratura associato al disadattamento in modo costante).

Addirittura l’Accademia Americana dei Pediatri suggerisce le seguenti strategie per instillare la disciplina (fonte):

  1. Una relazione positiva e amorevole fra genitori e bambino,
  2. uso del rinforzo positivo,
  3. uso delle punizioni per ridurre o eliminare i comportamenti non desiderati.

Niente da dire sul primo punto. È fondamentale, anzi, dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo instaurare una relazione di questo genere.

Gli altri due, a parer mio dovrebbero invece essere eliminati. Di seguito le motivazioni.

Per quanto riguarda la logica del rinforzo (punti 2 e 3) si rimane sempre all’interno dello schema basato sulle punizioni e ricompense. Stesso principio del bastone e della carota, per intenderci.

Se fai li “bravo” (ciò che io voglio) eccoti la bella carotina, mentre se fai qualcosa che non mi piace mica tanto ecco che arriva la bastonata (dalle percosse si spazia alla privazione di qualcosa che ti piace, amore negato, sofferenza/dolore emotivo, et cetera). Tutto sembra funzionare con la logica del “merito” e come ha detto qualcuno è come se le relazioni umane fossero oggi considerate in termini di transazione economica.

Tutto questo deriva dall’idea che l’essere umano agisce solo ed esclusivamente per ottenere un premio o evitare una punizione, e che la motivazione intrinseca non esista. Tradotto, sulle basi di quella psicologia comportamentale che ha dominato i salotti accademici nel secolo scorso, erroneamente pensiamo che l’unica cosa che conta sia il comportamento e che il bambino vada motivato dall’esterno attraverso queste tecniche (adottate per il controllo del comportamento animale: vedi addomesticamento dei cani). Non importa dunque cosa si cela dietro un certo comportamento (pensieri/emozioni/sentimenti), ma solo ciò che può essere visto e valutato. Un po’ superficiale come discorso, no?

Si parte dunque da premesse errate e da una visione alquanto distorta della natura umana. Da dono (come in realtà dovrebbe essere), l’amore del genitore si trasforma in un privilegio da guadagnare; e piuttosto che creare un rapporto basato sulla fiducia, sul rispetto e sulla collaborazione l’obiettivo diventa quello di ottenere l’obbedienza tramite imposizione (dimenticandoci totalmente che i nostri figli hanno bisogno di amore incondizionato, di essere amati per ciò che sono e non di doverselo guadagnare il nostro amore).

Come detto, il focus è solo sul comportamento, sui risultati, un po’ come a scuola, dove l’unico indicatore di successo sono i voti, e poco importa cosa si cela dietro il comportamento. E proprio come a scuola, in molti contesti e situazioni il "bravo" viene usato per condizionare conspevolmente il comportamento dei bambini.

Superficialmente, attraverso il sistema delle punizioni e ricompense quel che stiamo trasmettendo ai nostri figli è che l’unica cosa importante è quello che fanno, e non ciò che sono; e che se non fanno ciò che noi vogliamo non saranno accettati/amati.

Anche se forse non è nostra intenzione trasmettere ciò, questo è esattamente il messaggio che passa, e risulta essere devastante sotto una varietà di aspetti.

Molti studi e ricerche hanno dimostrato che tutto questo ha un’influenza molto negativa sulla motivazione e porta a sviluppare una serie di problematiche molto limitanti in termini di crescita e sviluppo.

Altri fattori molti importanti da tenere in debita considerazione sono che nello schema punizioni/ricompense è sempre la volontà dell’adulto (che detiene il potere) che si impone su quella del bambino e questo non solo è altamente condizionante, ma decisamente controproducente per quanto riguarda l’esercizio della volontà personale del bambino e lo sviluppo della sua individualità.

Oltre a ciò, un altro aspetto importante è che l’attenzione del bimbo rimarrà sempre centrata sulle conseguenze che lo riguardano personalmente, e non sulle conseguenze che il suo comportamento ha sugli altri e neppure questo è costruttivo. Verrà infatti spinto a fare o non fare delle cose per puro interesse personale. Ad esempio, potrebbe pensare: “cosa vogliono da me mamma e papà? Cosa ci guadagno se obbedisco? E cosa mi succede se non lo faccio?” Alcuni ricercatori sostengono che questo interferisca anche sulla crescita morale del bambino.

In tutti i casi, usando queste tecniche il bambino agirà in un certo modo perché sente una forte pressione esterna, ma non si tratterà di una scelta autentica. Seguire la logica dei premi e delle punizioni è dunque altamente sconsigliato, rinforzo positivo incluso: e questo vale ovviamente per tutta quella serie di premi e ricompense tangibili (cibo/denaro) e simbolici (voti/stelline/delfini) a cui siamo stati abituati e anche per il “bravo” e le lodi in generale, in quanto altamente condizionanti e con un influenza molto negativa in termini di:

  1. Motivazione,
  2. sviluppo di una mentalità fissa,
  3. sviluppo di un sentimento di autostima contingente,
  4. sviluppo di un luogo di controllo esterno,
  5. perdita di slancio vitale e creativo.

Andiamo a vedere insieme tutti questi punti, uno per uno.

1) MOTIVAZIONE INTRINSECA/ESTRINSECA

Per spiegare la differenza, per motivazione intrinseca significa intraprendere un’attività perché è di per sé motivante e la ricompensa per ciò che si fa è l’esperienza stessa, piuttosto che l’ottenimento di una gratificazione, una ricompensa o un riconoscimento esterno come accade per quanto riguarda la motivazione estrinseca.

Se partiamo dalla premessa che la motivazione intrinseca non esiste e l’obiettivo diventa il riscontro positivo, non solo si diventa meno inclini al rischio e alla spontaneità, che sono requisiti fondamentali per la creatività e lo sviluppo, ma di diventa dipendenti dal riconoscimento e dall’approvazione esterni, si perdono l’interesse per l’attività svolta e anche la volontà di superare i propri limiti (fonte, fonte, fonte, fonte, fonte)

2) MENTALITÀ FISSA

Attraverso le sue ricerche, Carol Dweck, professoressa di psicologia all’Università di Stanford, ha dimostrato che se i bambini vengono lodati continuamente (perché "bravi", dotati, pieni di talento et cetera) sviluppano la cosiddetta mentalità fissa e questo può essere molto limitante in termini di crescita e sviluppo (fonte).

Essenzialmente, le persone che hanno una mentalità fissa ritengono che intelligenza e talenti siano una questione genetica. O hai quel che serve, oppure no. Ciò limita assai la propria capacità di imparare, in quanto queste persone si focalizzano moltissimo sull’offrire una performance perfetta, sforzandosi al massimo di risultare brillanti, e guardando al fallimento e agli errori come qualcosa da essere evitato a tutti i costi, per paura di sembrare incompetenti. Come conseguenza, si giudicano pesantemente e non colgono le opportunità di crescita che la vita offre loro.

Al contrario, le persone che hanno una mentalità volta alla crescita, inseguono sfide e opportunità di apprendimento. Per queste persone non importa quanto si è bravi o quanto sia alto il proprio QI. Vedono il fallimento come un opportunità di crescita e sono convinti di poter fare ancora meglio attraverso l’esercizio e la pratica. Ciò ha chiare implicazioni su come vengono dirette le proprie energie, il proprio focus e come vengono elaborati i feedback ottenuti.

Inoltre, nuove ricerche nel campo delle neuro-scienze, alla Michigan State University, dimostrano che i neuroni di queste due tipologie di persone si comportano in modo diverso di fronte agli errori. Nelle persone con una mentalità “fissa” si riscontra una minor attività cerebrale, se paragonate con coloro che elaborano gli errori in modo attivo per imparare dagli stessi (fonte).

In sintesi, la differenza principale è che le persone con una mentalità “fissa” credono che intelligenza e talenti siano innati e non soggetti al cambiamento, e questo li porta a pensare all’errore come una mancanza di abilità. Al contrario, coloro che credono di poter migliorare, imparano dall’errore, e diventano sempre più le loro potenzialità. Detto molto semplicemente, se ti è sempre stato detto che “sei bravissimo, hai proprio talento e riesci a fare tutto senza doverti impegnare…” non appena sarai chiamato a fare un piccolo sforzo per superare i tuoi limiti non lo farai, perché ti sentirai incapace di farlo (il ragionamento è questo: "visto che mi devo impegnare vuol dire che non ho quel che serve per fare X, e dunque non lo faccio per non sentirmi un incapace").

3) AUTOSTIMA CONTINGENTE

Alfie Kohn ha scritto una cosa molto importante: “Quando un bambino si sente amato dai genitori solo a determinate condizioni — sensazione sviluppata proprio nell’applicazione di metodi legati alla negazione dell’amore e al rinforzo positivo — diventa difficile accettarsi.”

Essendo i vari “bravo” e simili circoscritti alle occasioni in cui il bambino ci compiace, questo lo spinge a sentirsi accettato solo quanto obbedisce e fa ciò che vogliamo noi, o comunque si comporta secondo i nostri standard e aspettative.

Questo lo porterà a rifiutare/negare delle parti di sé che non vengono apprezzate (e costruirsi una falsa immagine) e far dipendere la stima di sé da tutta una serie di aspettative. L’autore statunitense evidenza inoltre come questo rientri nei parametri dell’abuso emotivo, e come la ricerca di approvazione porti a: depressione, disperazione, tendenza a perdere il contatto con il proprio sé autentico e essere invece conformi alle aspettative — essere come gli altri vogliono (fonte).

In sintesi, un approccio condizionante influisce negativamente sull’ auto-valutazione e autostima del bambino, che oscillerà in funzione dei risultati ottenuti e della soddisfazione di una serie di aspettative fissate da altri… e questo porterà non sono a non avere fiducia in sé stessi, ma gli impedirà anche di sviluppare la resilienza mentale e crollare davanti ai problemi e alle difficoltà.

4) LUOGO DI CONTROLLO

Queste tecniche di modificazione del comportamento (sistema punizioni e ricompense) influiscono negativamente su quello che nelle scienze psicologiche viene definito luogo di controllo. Il luogo di controllo può essere interno o esterno ed ha a che fare con il controllo che crediamo di avere sulla nostra vita. Se è interno, vuol dire che crediamo nelle nostre capacità e siamo padroni del nostro volere e agire. Al contrario, se è esterno crediamo che la nostra vita sia controllata da forze e fatti esterni che sono indipendenti dalla nostra volontà.

Da una ricerca condotta sull’arco di 50 anni a partire dagli anni ’60 emerge un aumento esponenziale di controllo esterno nei bambini. Questi risultati non sono per niente rassicuranti: sono correlati con scarso rendimento scolastico, senso di incapacità e impotenza, minore autocontrollo, incapacità di gestire lo stress, ansia e depressione (fonte).

5) CREATIVITÀ

Attraverso le nostre valutazioni e i nostri giudizi portiamo i bambini a perdere il loro slancio vitale e creativo. Si preoccuperanno piuttosto di fare qualcosa che ci compiaccia o che sia conforme alle nostre aspettative piuttosto che osare, rischiare, dare spazio a tutto il loro talento.

Oggi sappiamo che ogni singolo bambino nasce con un immenso potenziale creativo e con tutte le capacità necessarie per realizzare il suo potenziale. Sappiamo anche che i peggiori nemici della creatività sono la paura e la mancanza di fiducia in se stessi… dunque dobbiamo impegnarci a crescere dei bambini senza paura, senza condizionamenti e senza influire negativamente sulla loro autostima attraverso il nostro esser giudicanti. Oggi si sa: la creatività necessita di una mente libera dai pregiudizi, e quel che dobbiamo fare è liberarla la nostra mente (“Non appena giudichiamo il loro lavoro, loro tendono a smettere di pensarci e parlarne.” Alfie Kohn). E poi, diciamocelo chiaramente, il bambino ha bisogno di partecipazione e sincero entusiasmo, non di lodi.

Da questi risultati, ne possiamo dedurre che il sistema di punizioni e ricompense appartiene a un’era ormai superata e conduce solo a effetti negativi che impediscono all’individuo di sviluppare e realizzare le sue potenzialità oltre il contesto e come conseguenza ostacolano anche l’evoluzione della società.

Se invece delle ricompense e sanzioni usiamo la fiducia, la pazienza e la gentilezza nello spiegare, i bambini diventano liberi di appropriarsi del loro apprendimento e della loro crescita personale.

Il suggerimento è dunque quello di evitare i giudizio e non contaminare la relazione con le proprie valutazioni. So che questo non è esattamente facile perché siamo talmente abituati a farlo che non ce ne rendiamo neppure conto… ma dobbiamo mettere un freno al nostro bisogno di valutare di continuo le azioni dei nostri figli… semmai, porre domande con sincero interesse per favorire elaborazioni e riflessioni creative e non soffocare il potenziale del bambino sommergendolo di inutili lodi.

Per concludere, ogni essere umano ha bisogno di progredire verso la sua realizzazione personale e l’autodeterminazione è un fattore decisivo nella vita di ogni persona.

Più ricorriamo a metodi per dirigere i ragazzi dall’esterno e più è probabile che li stiamo deviando dal vero asse della loro vita, a non avere fiducia nelle loro capacità e verso una lunga serie di conseguenze indesiderate. In altre parole, a non essere loro i veri protagonisti della loro vita.

Per tutti questi motivi, è decisamente consigliato seguire un approccio diverso e più consapevole.

 

 

Ogni bambino è un leader, e questo a livello educativo stravolge i parametri a cui siamo stati abituati attraverso la nostra formazione, istruzione e cultura. Infatti, si tratta di un cambio di paradigma non indifferente e implica seguire il bambino, consapevoli del fatto che egli ha una sua volontà personale e sappia cosa è meglio per lui, piuttosto che dirigerlo e indirizzarlo dove e come vogliamo noi. I bambini hanno una innata capacità di auto-apprendimento e vanno supportati a realizzare ciò che vogliono, piuttosto che interferire continuamente nella loro vita, in quanto ciò è l’errore fondamentale alla base di tutti i problemi.

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l'estratto su questo link).

 

Photo by Nathan Dumlao on unsplash

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