Scuola, bambini sempre più stressati: a rischio di burn-out

educazione formazione Feb 08, 2019

Già nel 1992 le Nazioni Unite definirono lo stress come la malattia del XX secolo, e poco dopo l’Organizzazione Mondiale della Sanità affermò che si tratta di una vera e propria epidemia su scala globale.

Lo stress è considerato il nemico numero uno del rendimento a livello professionale. In Svizzera, dal Job Stress Index 2018 stabilito da Promozione Salute Svizzera, emerge che la quota di persone che hanno carichi superiori alle risorse è pari al 27,1% (fonte) e che lo stress costa ai datori di lavoro circa 6,5 miliardi di franchi all’anno. In Italia, le cifre sono simili: l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro conferma che il 27% degli italiani soffre di stress da lavoro (fonte).

Da queste ricerche risulta anche che “sono i giovani ad essere più esposti, stressati e spossati con conseguenti cali di rendimento e problemi di salute.” I giovani presentano infatti un Job Stress Index spesso sfavorevole e le maggiori perdite di produttività dovute allo stato di salute si riscontrano nelle persone nella fascia di età 16-24 (fonte).

Questi dati sono certamente preoccupanti, ma vi è anche da sottolineare che questo non è un problema circoscritto alla sfera professionale, ma è parecchio diffuso anche fra i banchi di scuola.

Oggi infatti dagli studenti si pretende sempre di più e la pressione per ottenere dei buoni voti (e la preoccupazione di non ottenerli) si situa fra le fonti di stress molto spesso citate da bambini e ragazzi. L’ansia da prestazione e il timore di voti bassi si impongono nei pensieri degli adolescenti, secondo quanto rivela lo studio PISA 2015 commissionato dall’OECD (fonte).

Stando ai risultati dell’indagine condotta in 70 paesi (su un campione di 540’000 studenti), in media, il 59% è preoccupato dalla difficoltà dei test che affronterà in classe; 66% sono preoccupati dall’idea di poter prendere brutti voti a scuola e 55% a prescindere dal fatto che abbiano studiato e siano ben preparati. 37% dicono di sentirsi molto tesi quando studiano e 52% diventano nervosi quando non sanno come fare un compito a scuola.

In Svizzera, uno studio a livello nazionale commissionato a Dipendenze Svizzera dall’Ufficio federale della sanità pubblica rivela che quasi un terzo dei quindicenni si sente stressato e che indicativamente questo potrebbe anche essere dovuto “ai numerosi compiti legati allo sviluppo e agli obblighi scolastici, che aumentano man mano che si passa da una classe all’altra, nonché dalla necessità di dover decidere che cosa si farà da grandi.” Il fatto di dare maggior importanza alle buone prestazioni scolastiche è un altro fatto menzionato (fonte, fonte).

Secondo lo studio Juvenir 2015, l’accentuato orientamento al rendimento e al successo e le pretese eccessive sono le principali fronti di stress. Il quarto studio rappresentativo sui giovani svizzeri condotto dalla Jacobs Foundation tende a sottolineare che lo stress nasce a scuola, durante la formazione (72% ragazze e 49% ragazzi delle scuole medie; apprendisti: 60% ragazze e 39% ragazzi) e all’università (75% ragazze e 57% ragazzi) e non nella vita privata (il tempo libero dei giovani svizzeri pare essere relativamente privo di stress: 17% stressato da spesso a molto spesso dallo sport, 14% dagli hobbies e 5% dalla presenza sui social).

Il successo a scuola, nella formazione e nello studio sembrano avere la massima priorità per molti giovani: per oltre il 90% il successo in questi campi è importante e per il 53% addirittura molto importante. Dal sondaggio emerge inoltre che quale causa originaria dello stress, i ragazzi riportano sempre più frequentemente una generale scarsità di tempo: 89%.

Oggi i ragazzi sono sempre sotto pressione e in effetti di tempo libero non ne hanno più. Più di metà degli intervistati afferma di non avere più tempo sufficiente per l’impegno sociale né per i propri hobbies e per vedersi con gli amici (fonte).

Questo è certamente un problema che riguarda la scuola, come fra le altre cose emerge dallo studio Juvenir 2015, ma non solo. Anche fuori dall’ambiente scolastico sembra esservi una forte pressione dei genitori nei confronti dei figli per quanto riguarda l’organizzazione delle attività extra-scolastiche. Che sia lo sport, la danza, la musica o qualsiasi altra cosa, non è raro che i bambini siano iscritti a molteplici attività. Di fondo, sembra esserci l’idea che vanno motivati, che bisogna “farli socializzare”, che devono primeggiare, che sia compito del genitore organizzare la vita del figlio… che devono essere in qualche modo occupati e stimolati e non da ultimo che il gioco libero sia una “perdita di tempo”. Insomma, l’agenda dei bambini è piena quasi fossero dei piccoli top manager e questo non è un bene.

Se abbassiamo la fascia d’età, notiamo che i disturbi causati dalla pressione che affliggono i bambini della Svizzera sono notevolmente aumentati negli ultimi anni. Quasi tutti gli undicenni risentono in qualche modo delle conseguenze di stress e ansia da prestazione: insicurezza, avvilimento, svogliatezza, disturbi del sonno, mal di testa, dolori alla schiena (fonte) e un terzo degli allievi delle scuole svizzere è stressato a tal punto da soffrire di sintomi tipici della sindrome da burn-out (ansia, insonnia, mal di pancia o di testa, stanchezza, depressione).

“C’è troppa competizione, troppa esasperazione” ha detto qualche tempo fa il direttore di Pro Juventute svizzera italiana Ilario Lodi, il quale ha aggiunto che “Abbiamo creato un mondo fatto solo di obiettivi scolastici e professionali”, sottolineando che stiamo lanciando ai giovani un messaggio sbagliato in tal senso, facendo loro credere che la vita sia basata solo sui risultati in termini di scuola e lavoro (fonte). E tutto questo ha un prezzo molto alto da pagare: esasperazione e stress continuo possono infatti avere un esisto letale. Purtroppo, la Svizzera ha uno dei tassi più alti di suicidio giovanile dell’Europa occidentale. Ogni anno si registrano 10’000 tentativi di suicidio e un centinaio sono i decessi. Il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani dai 15 ai 24 anni ed è al secondo posto fra giovani e bambini nella fascia di età 10-19.

Il problema è molto serio, e non può essere preso alla leggera. Il disagio giovanile è dilagante, e le parole di questi due giovani e di questa mamma riportate da Pro Juventute (fonte) fanno eco a molti altri:

  • “Non sopporto più la scuola. Sento che potrei impazzire.” Ragazzo di 14 anni
  • “Non ce la faccio più, tutto qui.. Sono al liceo, ma anche se studio tantissimo, non basta mai.” Dichiarazione di un giovane al numero d’emergenza 147 di Pro Juventute
  • "Abbiamo chiesto a nostra figlia che cosa desiderava per il compleanno e lei ha risposto: Che tu e papà mi lasciate in pace per una volta." Mamma di una ragazza di 14 anni

La vita quotidiana dei bambini/ragazzi è diventata un susseguirsi di impegni. La vita è sempre più frenetica e bisogna fare tutto sempre di fretta, al comando “subito!” oppure “muoviti!”. I nostri ragazzi devono essere “bravi” (nel senso che devono essere conformi alle  aspettative e standard di famiglia e società) e avere successo. Devono adattarsi al mondo degli adulti, e solo così saranno accettati. Questo è il messaggio di fondo che stiamo trasmettendo alle nuove generazioni.

A tal proposito, il pediatra Remo Largo ha dichiarato che molto spesso le preoccupazioni dei genitori si ripercuotono sui figli e che uno dei problemi è che oggi si tiene poco conto del fatto che ogni bambino ha il suo potenziale, che varia fortemente da individuo a individuo, e le conseguenze di ciò sono spesso negative. La soluzione che raccomanda il noto pediatra a genitori e insegnanti, e che personalmente condivido a pieno titolo, è molto semplice: lasciate che i bambini possano esser bambini: “Per lo sviluppo della creatività e di molte competenze è fondamentale che i bimbi abbiano più momenti liberi gestiti da loro stessi” (fonte).

Insomma, fondamentale concedere ai bambini la libertà. Quel che dobbiamo fare è dunque uscire dalla mentalità che chiede sempre più scuola come soluzione ai problemi. Al contrario, ne serve di meno. Meno pressione, e più tempo libero per giocare. E qui non stiamo parlando del gioco strutturato, ma di lasciare che i bambini siano liberi di sperimentare se stessi, che siano liberi di apprendere, di esistere e di essere e divenire ciò che sono.

Oggi sappiamo inoltre che il gioco ricopre una fondamentale importanza nella vita dell’essere umano (in realtà, lo sapevamo anche prima visto che così è sempre stato nella storia umana… fino a quando la logica industriale ci ha detto che è invece una perdita di tempo). L’evidenza scientifica dimostra che i bambini imparano meglio giocando (fonte) e che il gioco libero è basilare per imparare a gestire lo stress e essere meno ansiosi. Se per questo, vi è anche una correlazione fra il livello di vivacità nel gioco, le strategie di coping e le capacità di problem-solving (fonte). Dunque, alla luce di tutti questi dati, perché non ci fermiamo un attimo a riflettere su ciò che stiamo facendo ai nostri ragazzi, e non iniziamo a mettere in discussione la scuola e il modo in cui li stiamo educando?

Aprire la conversazione su questo tema è doveroso, nei confronti non solo dei nostri ragazzi ma della società intera.

 

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Photo by Element5 Digital on unsplash

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