Se vuoi veramente cambiare vita

leadership vita intenzionale Sep 22, 2019

Inizia ad assumerti la più totale e assoluta responsabilità delle tue scelte e del tuo mondo interiore.

Basta con le lagnanze, l’ininterrotto brontolare, i continui piagnistei.

Fino a qualche decennio fa, i primi psicologi erano convinti che noi siamo il risultato del nostro ambiente. Un semplicissimo meccanismo stimolo-risposta. Oggi sappiamo che l’ambiente ci può influenzare, certamente… ma è nell’interiorità che tutto si concretizza. Il mondo non fa che rispecchiare la nostra psicologia e le nostre circostanze sono sempre in perfetta armonia con il nostro stato interiore.

In relazione a ciò, mi permetto di modificare un pochettino la famosa frase di Martin Luther King (“Può darsi che non sei responsabile per la situazione in cui ti trovi, ma lo diventerai se non fai nulla per cambiarla”) in: tu sei responsabile per la situazione in cui ti trovi, e anche del cambiamento che desideri avvenga.

Oggi sono in molti a sognare di cambiare vita, ma solo pochi sembrano riuscirci.

A quanto pare, nove volte su dieci i buoni propositi falliscono miseramente. Da una parte, nella nostra società vi è la tendenza a cercare la soluzione facile e volere tutto e subito… e essere inclini a sfuggire alle responsabilità (forse per questo è più comodo seguire qualcuno che può fare da capro espiatorio secondo la logica: se il cambiamento riesce, merito mio, altrimenti colpa dello psicologo/terapeuta/coach/trainer); dall’altra, va anche detto che nel campo della crescita personale vi sono tante chiacchiere, e molta confusione.

Online e offline, spuntano coach come funghi. Dappertutto. Tutti pronti a motivarci e offrirci la miracolosa ricetta che ci permetterà di trasformare la nostra vita da un giorno all’altro. E molti abboccano, forse perché la speranza è tanta… o spesso perché la promessa di meravigliosi cambiamenti senza troppi sforzi è un boccone succulento per chi non ha troppa voglia di impegnarsi. In altri casi, la strategia proposta è diametralmente opposta e viene richiesta una specie di motivazione sovrumana (e spingere, spingere, spingere!) per arrivare in cima all’ipotetica scala di un successo misurato esclusivamente in termini monetari.

È anche interessante notare come la maggior parte dei sedicenti guru che sbucano ovunque utilizzino la ormai abusata e vecchia strategia del “fake it until you make it”, facendosi immortalare con lussuose auto, la casa chissà dove e il jet privato per dirci che hanno fatto il grano e che seguendo la via che propongono possiamo ottenere le stesse cose.

Intendiamoci, qui il punto non è la ricchezza materiale. Anzi, se per questo io sono dell’idea che tutti dovrebbero avere tutto ciò che serve per realizzare se stessi. I mezzi sono infatti molto importanti, e nella nostra società servono per vivere una vita piena e anche per potersi impegnare a favore degli altri; ma in moltissimi casi appare quella che potremmo definire una incoerenza di fondo, quasi ci fosse una nota stonata fra quel che il novello guru professa e ciò che in realtà è.

Internet è un luogo molto trasparente sotto questo aspetto, e oggi è abbastanza facile capire chi sono le persone credibili, e quelle che invece cercano di far leva sui meccanismi del vecchio marketing per creare tensione emotiva e indurci all’azione (a comperare il loro prodotto, o servizio), cercando di prenderci per vanità, denaro, o altro.

Alle persone non piace però essere ingannate (e neppure il tentativo, se per questo), e molti sono giustamente diffidenti quando si tratta di promesse di facili guadagni o di una vita ai Caraibi, o in Thailandia, fra party, cocktail e rendite passive… e fare la cosiddetta bella vita, e magari mixare anche qualche disco, un po’ in stile Gianluca Vacchi… Parallelamente, sono anche in molti quelli che segretamente nutrono questo sogno.

Giusto, sbagliato? Non sta a me giudicare.

Come detto, io sono dell’idea che ognuno dovrebbe avere l’opportunità di fare quello che vuole (nel rispetto della volontà degli altri) ma questo implica assumersi le proprie responsabilità.

E poi, c’è un altro punto molto importante da prendere in considerazione: quel che veramente vogliamo non lo sappiamo! Fare la propria vera volontà non significa quel “fare quello che si vuole” come viene comunemente inteso nella nostra società… quella tipica frase dalla connotazione negativa che spesso viene utilizzata con i bambini… ma scoprire cosa dobbiamo fare nella nostra vita e farlo, dedicandoci con devozione a realizzare l’immagine che portiamo nel nostro cuore.

Non credo di esagerare quando dico che noi tutti (99.9%) siamo stati gravemente condizionati da una mentalità industriale che ci ha offerto un panorama illusorio, spingendoci con forza nell’imbuto del conformismo, della scarsità, della competizione… di un sistema di credenze che abbiamo ereditato e che tanto fatichiamo a mettere in discussione, considerandolo scienza… quando di scientifico non ha proprio niente.

Come sosteneva William James, considerato il padre della psicologia negli States, il mondo che vediamo e che ci sembra così folle è il risultato di un sistema di credenze disfunzionale e per percepire in modo diverso dobbiamo essere disposti a cambiare quell’insieme di credenze che ci governa, lasciar andare il passato, imparare a vivere il presente e dissolvere la paura dalle nostre menti… e rivedere la nostra versione di successo, aggiungerei.

Infatti, siamo stati letteralmente ipnotizzati da una visione del successo che ci è stata inculcata in testa e da uno stile di vita malsano (nella nostra società consideriamo “normale” e “ordinario” tutto ciò che è depotenziante per l’individuo e nocivo per la collettività!) da dimenticarci di vivere la vita (vivere la replica della vita di qualcun altro attraverso il piccolo schermo non è vivere) e credere che libertà significhi non fare nulla dal mattino alla sera.

Devi lavorare duramente e faticare (fare il tuo dovere, per la precisione) per tutta la tua vita, fino alla pensione… e poi potrai fare quel che vorrai e goderti la vita! Questo hanno creduto i nostri nonni, i nostri genitori, e molti di noi.

Non è forse pazzesco?

Veniamo educati in questo modo sin da bambini. Il processo di deformazione inizia in famiglia. Vi è la scuola poi, con i suoi ritmi incalzanti, la campanella, i compiti, le sue prussiane origini basate su disciplina e obbedienza… che, ricordiamolo, è stata ideata proprio per questo motivo: non per sviluppare le potenzialità di ogni allievo, ma per partorire lavoratori compiacenti e produttivi che avrebbero lavorato bene nel sistema. Impiegati e operai (e buoni consumatori), non leader e imprenditori.

Come risultato, dopo quindici/vent’anni o più di serrato condizionamento, eccoci pronti per il mercato del lavoro… Là fuori, nel mondo, con il metaforico coltello fra i denti, ad aspettare il nostro turno e lottare per la nostra sopravvivenza, in quella che crediamo che sia una vera e propria giungla. Vince il più forte, gli altri vanno schiacciati. Questo ci dicono a casa, e che ci insegnano a scuola, in fondo.

La verità è che siamo emotivamente insicuri. Pensiamo di non essere abbastanza, di non essere all’altezza. Siamo stati abituati a eseguire gli ordini alla lettera, e ad aspettare il nostro turno… ed è quel che facciamo.

Aspettiamo che qualcuno ci dica cosa fare.

Questa è ancora oggi la logica industriale… È però molto importante sottolineare che l’economia è mutata radicalmente e se qualcun altro può fare il tuo lavoro al tuo posto, a un costo minore (uomo o macchina che sia), la sostituzione sarà presto una certezza. Oggi servono coraggio, audacia, iniziativa, imprenditorialità, creatività, immaginazione, leadership… tutte qualità sistematicamente soffocate da modelli educativi ormai obsoleti.

Per quanto riguarda l’occupazione, le aziende hanno un bacino molto folto a cui attingere per la ricerca del personale. Non devono neanche più spendere un centesimo per pubblicare gli annunci sul giornale. LinkedIn è una piattaforma perfetta e altre opportunità su internet di certo non mancano. Per un posto di lavoro competono in quattrocento. Quelli che un lavoro non ce l’hanno aspettano di essere scelti per qualche ruolo preconfezionato. Quelli che lavorano, si trascinano invece dal lunedì al venerdì nella lamentela, non trovando un senso in ciò che fanno. Certo, non tutti. Solo nove persone su dieci secondo le ricerche condotte a livello globale dalla società Gallup (in 141 paesi nel 2013 e 155 nel 2017, State of the Global Workplace).

La ciliegina sulla torta di questa drammatica situazione è che quando si tirano le somme non rimane che la disperazione del rimpianto. Infatti, il rimpianto più comune delle persone in punto di morte è proprio quello di non aver vissuto la vita che veramente avrebbero voluto, ma di essere invece scese a compromesso con le aspettative degli altri.

In più, tutte le persone intervistate avrebbero voluto lavorare di meno, e non aver mercanteggiato il proprio tempo, la propria libertà, i propri affetti, la propria felicità con l’attività svolta, indipendentemente quale essa fosse.

Tradotto, ciò significa che queste persone non solo non hanno fatto ciò che per loro era necessario compiere e realizzare, ma scendendo a compromessi con le aspettative degli altri non hanno neppure assaporato e gustato quella serie di attimi che è la vita.

Va detto: noi non siamo al mondo per produrre, consumare, morire. La vita non è solo questo. E certo, il lavoro è molto importante e ci passiamo gran parte della nostra vita (35% della nostra vita adulta, o 100’000 ore secondo Revise Sociology 2016) e se facciamo qualcosa che per noi non ha significato anche tutte le altre aree della nostra vita ne saranno negativamente influenzate. Non solo, se facciamo qualcosa che per noi non è importante, presto o tardi anche la nostra vita perderà di significato.

Ognuno di noi è il suo progetto di vita… ma in troppi si sono dimenticati di esserlo, e trascorrono l’intera esistenza senza neanche più chiedersi cosa è importante… lasciandosi vivere, come degli automi.

“Ormai, è così”, dicono, nella più totale rassegnazione.

E così vivono lo stesso anno, tutti gli anni, fino alla fine dei loro giorni… senza assumersi la responsabilità di nulla, e puntando il dito verso tutti.

Ovviamente, questa è una questione di scelte.

Ognuno può decidere come vivere la sua vita, ma ritengo che sia importante perlomeno sapere che cambiare è possibile. Che le alternative ci sono e che ciò che si vuole può essere ottenuto.

E qui torniamo al punto di partenza: ma cosa vogliamo, veramente? Siccome siamo stati educati a sottometterci ai voleri altrui quel che veramente vogliamo non lo sappiamo… e anche se crediamo di saperlo, siamo convinti che sia impossibile (perché questo ci è stato detto crescendo).

Siamo stati condizionati a concepire noi stessi e l’esistenza e tutto ciò che proiettiamo nel nostro futuro in modo completamente distorto. Pensiamo che il lavoro debba giocoforza essere un fardello, esattamente come la scuola, e non facciamo altro che ricorrere tutto ciò che luccica, incapaci di vedere che si tratta di specchietti per le allodole. Rincorriamo il premio, qualcosa che ci procuri un effimero piacere… e facciamo il possibile per fuggire dalle punizioni, e dal dolore. In fondo, è così che siamo cresciuti: attraverso un sistema di punizioni e ricompense.

E così, ci lasciamo abbindolare da tutti coloro che ci dicono che per essere felici dobbiamo acquistare e avere, non dare e essere. E anche i vari guru moderni, se per questo, cercano di trascinarci su questa strada, facendo leva su un marketing decisamente vecchio e principalmente incentrato sulle vecchie leve della motivazione, e non veramente orientato al cambiamento.

Come conseguenza, siamo confusi e ci ostiniamo a cercare delle risposte nei posti sbagliati… all’esterno… dove però non troviamo nulla. E il circolo vizioso va avanti. Passano i giorni, le settimane, i mesi, gli anni… e non cambia mai niente! Può anche darsi che ci proviamo a far accadere un qualsiasi cambiamento… ma niente… e perciò flirtiamo con l’idea che debba esserci un salvatore (come ci dicono le religioni) o un qualche leader eroico, impavido e senza macchia né paura (che ci illudiamo di vedere in qualche partito politico, o in qualche politicante che urla i suoi slogan intrisi di malcontento e negatività) e non facciamo altro che dissipare le nostre preziose energie, incanalandole in vie senza uscita.

Di vie di fuga che non portano da nessuna parte ce ne sono molte. Per esperienza personale, ti posso dire che non è cambiando lavoro e neppure andando a vivere in un altro continente che la propria vita cambia. I problemi, se non li hai risolti, li porti tutti con te. E se per questo, non troveremo ciò che cerchiamo neppure seguendo qualche motivatore o guru, o in qualche strampalata teoria psicologica (e ve ne sono tante: siamo letteralmente vittime delle teorie!)… o cercando di anestetizzare i nostri crucci esistenziali con la varietà di espedienti che la nostra società moderna ci mette a disposizione (alcol, droghe, pornografia, ludopatia, shopping, tecnologia et cetera).

La soluzione non è neppure quella di continuare a incarnare il ruolo della vittima, lamentandoci dal mattino alla sera della politica, del governo, dell’economia, dei banchieri, della società, del vicino di casa… e no, neppure incolpare Dio per le nostre circostanze di vita (in realtà, aveva proprio ragione Nietzche, sostenendo che Dio lo abbiamo ucciso quando abbiamo iniziato a cercarlo all’esterno).

In tutti questi casi stiamo solo fuggendo da noi stessi.

Infatti, non c’è proprio nessuno da maledire. Si tratta piuttosto di assumerci le nostre responsabilità.

È così.

Anche se, mi rendo conto, è molto più facile incolpare qualcun altro che ammettere di essere il direttore, il regista, l’autore, l’attore del film della propria vita… soprattutto quando la pellicola che continuiamo a proiettare è decisamente scadente… e neppure i popcorn sono buoni.

Questi sono tutti aspetti su cui ho molto riflettuto nel corso della mia vita. Nel mio vivere del passato ho infatti attraversato dei periodi molto bui ma anche preziosi risvegli che mi hanno permesso di vedere quanto siamo stati condizionati e come questo sia devastante e alla base di tutti i nostri problemi.

Dopo più di vent’anni a ricercare discipline come leadership, marketing e pubbliche relazioni, psicologia e neuro-scienze e una decina nell’ambito dello sviluppo personale; avendo avuto l’opportunità di lavorare con diverse persone nella risoluzione dei loro condizionamenti, e di studiare gli effetti su me stesso sono giunto alla conclusione che ogni cosa dipende dalla nostra immaginazione.

In fondo, il mondo ci è comprensibile solo ed esclusivamente come immagine psichica. È attraverso l’immaginazione che creiamo la realtà e se non modifichiamo lo stato di coscienza dal quale guardiamo il mondo non potremo cambiare granché.

Certo, è utile capire qual è la causa dei nostri problemi (che generalmente troviamo nella nostra infanzia o nel periodo prenatale) ma non lo è rimanere ancorati alle immagini del passato. A tal proposito, aveva perfettamente ragione James Hillman nel dire che: “La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.”

Le nostre circostanze non sono un dramma infantile che continuiamo a ripresentare sul palcoscenico della nostra avita, ma piuttosto un dramma immaginario. Noi tutti ci raccontiamo delle storie, sul mondo, sugli altri… e su noi stessi… ed è proprio la concezione (o immagine) che abbiamo di noi tessi la chiave di qualsiasi cambiamento e realizzazione.

Per questo, io credo che non servano guru, maestri, motivatori.

Contrariamente a quanto affermano i vecchi modelli educativi (e i guru), io credo che il vero leader è dentro di noi e che ognuno deve finalmente seguire se stesso.

Per vivere una vita creativa e intenzionale abbiamo semplicemente necessità risvegliare la nostra abilità immaginativa e ritrovare la fede in noi stessi.

Metaforicamente, si tratta di ripartire dall’ABC.

Chi sono?

Cosa voglio?

Cosa è importante per me?

È fondamentale confrontarci con la nostra storia personale e uscire dall’ipnosi. Non entrarci, usando qualche infuso psichedelico “per espandere la coscienza”, o facendo delle regressioni alle vite precedenti (cocktail di fantasie che la mente ci presenta come difesa per sfuggire a delle verità che non siamo disposti a vedere, collocando la radice dei problemi al di là di questo tempo, così da essere lontana e separata da noi) e lasciandoci ipnotizzare da quella spiritualità da supermercato che tanto va di moda oggi.

Si tratta piuttosto di fare un primo passo verso sé stessi: di assumersi la più totale e assoluta responsabilità del proprio vissuto (sì, anche delle esperienze più traumatiche), delle proprie scelte, del proprio mondo interiore… di ricordarci chi siamo in origine e riprendere in mano le redini del nostro potere creativo (e del nostro destino).

Siamo venuti al mondo biologicamente programmati per auto-educarci e realizzare noi stessi… ma siamo stati considerati come una cera molle da plasmare a piacimento, e così non siamo diventati ciò che eravamo destinati a essere ma qualcun altro… quello che gli altri volevano. Questo il problema numero uno della nostra società. Nessuno occupa il suo spazio. Nessuno è chi sarebbe diventato se non fosse stato educato a vivere la volontà altrui come propria… e il potenziale inespresso, diciamolo apertamente, fa davvero male, molto male (ed è alla base di tutte le malattie psicosomatiche, come sosteneva A. Maslow).

Semplicemente, noi tutti incarniamo un’idea distorta di noi stessi, largamente viziata da altri.

Abbiamo costruito un falso sé per sentirci amati e accettati, e questo può esserci stato utile in passato (per affrontare determinate situazioni) ma nel presente le maschere che indossiamo sono altamente ostacolanti. Per questo dobbiamo volere… o meglio, imparare di nuovo a volere.

Ha detto bene Otto Rank: “L’individuo che soffre della repressione pedagogica, sociale e morale della volontà deve assolutamente imparare di nuovo a volere. L'uomo deve diventare quello che è, lo deve volere e realizzare da sé, senza costrizione o giustificazioni e senza il bisogno di addossare ad altri la responsabilità."

Cosa siamo?

Cosa vogliamo veramente?

È fondamentale concederci sempre più la libertà di essere noi stessi e liberarci da tutti quei condizionamenti, da tutte quelle maschere, da tutte quelle gabbie che non ci permettono di manifestarci per ciò che siamo veramente e totalmente.

In fondo, tutto dipende dall’immagine che abbiamo di noi stessi. È questa opinione personale che si trova alla base della nostro agire, pensare, sentire, comportarci… del nostro stile di essere al mondo, insomma. E la vita non fa altro che ricompensarci con la stessa moneta che noi offriamo a noi stessi… dandoci esattamente ciò che siamo consapevoli di essere.

Detto molto concretamente: tu sei ciò che pensi di te. Sei ciò che immagini di essere. Dunque, smettila di pensare/immaginare male. Elevati sopra le tue circostanze e non pensare più di non essere abbastanza, di non esser capace, oppure che non sia adesso il tuo momento.

STOP! ...e assumiti le tue responsabilità!

Se la storia che ti racconti non ti piace, la puoi cambiare.

Accettati, amati, abbi fiducia in te.

Credici.

Per avere di più, come disse qualcuno, bisogna essere di più.

Sapendo che creiamo la nostra realtà di vita sulle basi di ciò che immaginiamo di essere… e che abbiamo il potere di dare forma alle nostre immagini… chi vuoi essere? Forma questa nuova concezione di te, e incarnala.

È di vitale importanza dirigere la tua attenzione verso il tuo alto ideale, nutrendo l’immagine della persona che vuoi essere e chiudendo fuori tutto ciò che non vuoi. L’impegno deve essere concreto. Essenzialmente, si tratta di un impegno che ti assumi nei tuoi confronti e per questo può esserti utile firmare il seguente contratto (che trovi anche all’inizio del percorso che propongo nel mio libro: Imagosintesi), che stipuli con te.

Senza impegno nulla si ottiene. Noncuranza, disinteresse, e mancanza d’impegno sono in linea con una forza involutiva che tende alla stasi, a rendere tutto più denso. In questo caso, si vive in uno stato d’inerzia dove non cambia mai nulla, e nulla di concreto si realizza. Al contrario, per quanto concerne qualsiasi processo di crescita e realizzazione, dove la forza evolutiva è chiamata all’opera, la stessa richiede un apporto supplementare di energia, la massima dedizione, instancabile diligenza, e una responsabilità di sé assoluta.

Contratto che stipulo con me

Da oggi (metti la data: ________________ ) mi assumo la più totale ed assoluta responsabilità del cambiamento che voglio si manifesti nella mia vita. Decido di assumermi la responsabilità dei miei pensieri, delle mie emozioni, delle mie azioni e dei miei comportamenti. Scelgo di impegnarmi a fondo per ottenere il meglio da me, imparando a fare il miglior uso delle mie risorse per divenire le mie potenzialità. Scelgo il cambiamento e tutto ciò che è bene per la mia evoluzione personale. Scelgo di consacrarmi all’eccellenza e alla straordinarietà. Scelgo di rifiutare tutto ciò che non si allinea con quanto è meglio per me e per la mia realizzazione. Scelgo di rifiutare la mediocrità in tutte le sue forme. Da questo preciso istante, scelgo di fare sempre del mio meglio in ogni ambito della mia vita. Voglio vivere una vita intenzionale. Ispirata. Voglio diventare ciò che posso.

Firma: __________________________________ .

 

PS. Interrogarmi su chi ero, cosa volevo veramente, su cosa era veramente importante per me è stato il primo passo della mia trasformazione personale, seguito da una presa di responsabilità nei miei stessi confronti. Spero vivamente che ciò possa essere utile anche a te.

Ricorda:
Non hai bisogno del guru. Il vero maestro lo trovi dentro di te.

 
I nostri schemi di comportamento non sono predeterminati e invariabili come la psicologia di un tempo ci spingeva a credere. Cambiando l’immagine che abbiamo di noi stessi e le nostre abitudini possiamo cambiare vita (leggi l'estratto).


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