Dalla descolarizzazione al successo accademico e professionale

educazione formazione Feb 05, 2019

Oggi vi è la forte tendenza a credere che i bambini/ragazzi vengano educati solo a scuola, e quando si parla di homeschooling/unschooling taluni pensano che coloro che seguono dei percorsi alternativi a quello tradizionale vengano in qualche modo privati dell’istruzione o che rimangano in qualche modo illetterati.

Ma è davvero così?

Dagli studi sull’homeschooling emerge che le preoccupazioni e gli argomenti a sfavore siano piuttosto frutto di un dibattito filosofico sul controllo dell’educazione e che per quanto concerne l’educazione parentale non ci sia assolutamente nulla di male per bambini, famiglie, vicinato, collettività (fonte).

Per quanto riguarda l’istruzione superiore, le ricerche dimostrano che in media gli homeschoolers ottengono degli ottimi risultati (fonti: 1, 2, 3, 4, 5), spesso migliori dei loro coetanei che frequentano la scuola tradizionale (fonti: 1, 2, 3), e che vengono attivamente reclutati da molti College e Università (fonte).

Ovviamente, qui non si tratta di una competizione, e neanche di sostenere che gli homeschoolers siano in qualche modo più preparati dei loro pari che frequentano la scuola dell'obbligo. Va evidenziato che si tratta di studi e ricerche su dei campioni, e i risultati devono essere interpretati con la dovuta cautela. In qualsiasi modo, da queste ricerche emerge che per quanto riguarda l’istruzione superiore i timori di coloro che pensano che gli homeschoolers abbiano qualche deficit è decisamente infondato.

Non è però possibile generalizzare, pensando che queste osservazioni possano essere applicate anche all’unschooling. Si tratta infatti di due approcci completamente diversi: l’esperienza educativa degli homeschoolers è piuttosto simile a quella degli studenti che vanno a scuola, a differenza che studiano a casa (fonte), e non può essere paragonata all’unschooling (dove i bambini/ragazzi sono impegnati a seguire i loro interessi e sono responsabili della loro educazione). Perciò, non si possono fare ipotesi o previsioni in tal senso.

A tal proposito, Peter Gray, ricercatore e Professore di psicologia al Boston College, si è posto alcuni interrogativi: cosa faranno gli unschoolers in termini di istruzione e carriera? Andranno al college? E come verranno ammessi senza avere delle credenziali standard (e.g. High School Diploma)? Come si adatteranno all’ambiente accademico? E ancora, con o senza un’istruzione superiore, che carriere sceglieranno?

Su questo tema non sono state condotte molte ricerche. Molti studi sono stati fatti sull’homeschooling, e la tendenza è sempre stata quella di focalizzarsi sui risultati a livello accademico e/o interpellare i genitori degli homeschoolers interrogandoli sulle motivazioni che li hanno spinti a scegliere questo percorso. A parte quella condotta da Peter Gray e Gina Riley, che vedremo di seguito, non sono a conoscenza di altre ricerche condotte con l’aiuto di adulti “descolarizzati” (per gli interessati, su questo blog: I’m unschooled. Yes I can write vi sono però dei casi individuali di adulti che hanno fatto unschooling e condividono le loro esperienze).

Prima di vedere i risultati della ricerca condotta da Grey e Riley, vi sono altri dati potenzialmente rilevanti menzionati dai due autori, come le ricerche condotte con l’aiuto dei diplomati della Sudbury Valley School (SVS) e gli studi sulla crescita e sviluppo dei bambini.

La SVS è una scuola dove gli studenti (da 4 anni fino alla scuola secondaria) sono un po’ come degli unschoolers, in quanto hanno la possibilità di seguire i loro interessi e sono totalmente responsabili della loro educazione. A differenza degli unschoolers, gli studenti della SVS sono immersi in una struttura democratica, circondati da altri studenti e da una varietà di adulti da cui possono apprendere e trarre ispirazione. In generale, i diplomati della SVS che hanno scelto di andare avanti con gli studi non riscontrano difficoltà ad essere ammessi in istituti superiori di loro scelta e adattarsi alla vita accademica. Di norma scelgono carriere che richiedono un alto livello di creatività e iniziativa personale. Auto-determinazione, passione per l’apprendimento e un maggior senso di responsabilità sono benefici che ritengono essere intimamente legati all’aver frequentato una scuola democratica come SVS (fonti: 1, 2).

Inoltre, sempre più studi e ricerche dimostrano che gli effetti di più autonomia/indipendenza sono molto positivi. Da uno studio emerge che, paragonati a coloro che non hanno avuto le stesse opportunità, i bambini che godono di più libertà in casa vengono giudicati dai maestri come più creativi, curiosi, indipendenti, intraprendenti, e sicuri di sé (fonte). In generale, più autonomia è relazionata a una miglior performance in attività che richiedono creatività e flessibilità mentale, a migliori e più soddisfacenti relazioni interpersonali, a maggior benessere psicologico, e più resilienza a livello mentale e soddisfazioni nella vita (fonte). In aggiunta, i bambini che hanno più autonomia e tempo per realizzare ciò che vogliono (piuttosto che seguire delle attività strutturate dagli adulti) ottengono deimigliori risultati nei test per valutare le funzioni esecutive (test da cui si può prevedere le abilità future in termini di problem-solving) di coloro che hanno avuto meno tempo libero (fonte).

Tutti questi dati suggeriscono che i bambini a cui è stata concessa la libertà di seguire i loro interessi e strutturare le loro attività in modo tale da realizzare ciò che vogliono diventano adulti insolitamente (auto)determinati, intraprendenti, creativi (fonti: 1, 2).

Uno studio i cui risultati sono a sfavore dell’unschooling è invece stato condotto su un campione di bambini di età media fra i cinque e i dieci anni. Da questa ricerca emerge che i risultati migliori sono ottenuti da allievi delle scuole, e da homeschoolers che seguono un percorso strutturato. Il percorso non strutturato degli unshcoolers ha ottenuto i peggiori risultati nei test standard. (fonte). A tal riguardo, come ha scritto Peter Gray, va però evidenziato che i dati raccolti non sono granché attendibili. Risulta infatti che il maggior deficit è stato identificato nella lettura, ma è risaputo che gli unschoolers imparano a leggere un po’ più tardi se paragonati ai loro coetanei in età scolastica (poi imparano molto in fretta, quando sviluppano l’interesse per la lettura) e dunque non sorprende che abbiano ottenuto dei risultati più bassi in tal senso. Si tratta dunque di uno studio molto limitato, da prendere con le pinze. Una valutazione più approfondita sarebbe stata necessaria, magari sul lungo raggio, un po' più in là negli anni, quando questi ragazzi sono diventati dei giovani adulti.

Di seguito i risultati della ricerca condotta da Grey e Riley e pubblicata nel 2015: Grown Unschoolers' Experiences with Higher Education and Employment: Report II on a Survey of 75 Unschooled Adults (questo studio è stata condotto con l’aiuto di 75 adulti che sono stati scelti in base a dei criteri prestabiliti: “Descolarizzati” per almeno quelli che sarebbero stati gli ultimi due anni di High school (dunque: 11th e 12th grade) e età minima 18 (fonti: 1, 2). Lo scopo, come dichiarato dagli autori, è quello di descrivere le esperienze degli unschoolers, entrati nell’età adulta senza aver seguito un percorso scolastico tradizionale.

Come da tabella qui sotto: età media: 24 anni (da 18 a 49), suddivisi segue:

  • 24 niente scuola (0 anni),
  • 27 niente scuola dopo 6th grade: media 5 anni (da 1 a 7 anni di scuola),
  • 24 niente scuola dopo 8th grade: media 8 anni (da 1 a 11 anni di scuola).

Istruzione superiore e carriera

83% degli intervistati hanno continuato gli studi. In generale, non sono state riscontrate difficoltà per quanto riguarda l’ammissione ai College e Università che hanno scelto anche senza un diploma di High School, né nell’adattarsi alla vita accademica.

È interessante notare che quelli che hanno fatto unschooling per tutto il periodo K-12 sono risultati essere più propensi a fare un bachelor, se paragonati a coloro che hanno fatto qualche anno di scuola o (curriculum-based) homeschooling.

Bachelor

Al momento dell'intervista, 33 (44%) dei 75 partecipanti avevano completato o stavano completando un bachelor (non è stato richiesto il nome dei College, ma in alcuni casi l’informazione è stata aggiunta volontariamente. Includevano delle State Universities: UCLA, University of South Carolina, University of New Mexico, un Ivy League college: Cornell, e alcuni piccoli private liberal arts colleges: Bennington, Earlham, Marlboro, Mt. Holyoke, Prescott).

Di quelli che avevano completato il bachelor, 13 hanno completato o stavano completando un post-graduate degree program. Fra coloro che non si sono iscritti a un bachelor, 29 hanno comunque continuato gli studi (vocational training: business administration, arti culinarie, massaggio, infermieristica, EMT, interpretazione del linguaggio dei segni; oppure per acquisire specifiche competenze in altri ambiti).

In totale, 62 (83%) degli intervistati ha continuato gli studi (istruzione superiore). Dai dati emerge che chi ha sempre fatto unschooling sembra essere più propenso a fare un bachelor in confronto agli altri. Va detto che alcuni di loro non sono praticamente mai stati in una classe, né hanno letto un libro di testo, o è stato loro richiesto di studiare qualcosa che non era di loro interesse o fare esami di qualsiasi tipo, eppure per quanto riguarda l’istruzione superiore si sono distinti fra “A” e “Honors”. Sembra dunque che non aver seguito un curriculum imposto non abbia deprivato questi ragazzi del bagaglio di conoscenze necessario e delle capacità per ottenere il successo accademico. È inoltre interessante notare che questa tendenza risulta essere inversa se paragonata agli anni di scuola: infatti, quelli che hanno frequentatola scuola dopo il 6th grade erano i meno propensi a fare un bachelor. Ciò non ha però valenza statistica.

Gli intervistati che non hanno continuato gli studi a livello di istruzione superiore hanno detto che non ne sentivano il bisogno, perché non era richiesto dalle carriere che avevano scelto, e erano comunque certi che avrebbero potuto continuare a imparare quel che serviva loro o che volevano sapere senza necessità di seguire un training formale.

Ammissione al college

In generale, non si riscontrano difficoltà per quanto riguarda l’ammissione a College e Università, anche senza Diploma o Licenza. Dei 33 intervistati ammessi al bachelor senza aver seguito un percorso tradizionale 7 hanno conseguito un General Education Diploma (GED) facendo l’apposito esame, 3 hanno conseguito un Diploma equipollente a quello rilasciato dalle scuole secondarie attraverso una procedura online, e gli altri sono stati ammessi senza qualifiche formali. Di quest’ultimi, solo 7 riportato di aver dovuto fare dei test d’ammissione (come SAT / ACT) come parte della procedura per entrare al College.

Adattamento alla vita accademica

Nessuna particolare difficoltà. Gli intervistati hanno evidenziato che i benefici derivati dal loro percorso di unschooling sono stati decisivi in tal senso. Il vantaggio principale relazionato alla motivazione e responsabilità personale.

È molto interessante notare che uno dei vantaggi che sono emersi nella ricerca è che in confronto ai loro compagni di corso, gli unschoolers hanno scelto di andare al College e non si sono sentiti obbligati di fare questa scelta (come per molti altri); hanno dunque scelto corsi di studio il linea con le loro passioni e erano già abituati a assumersi le loro responsabilità per quanto riguarda la loro vita e l'apprendimento, in generale.

Alcuni hanno menzionato delle difficoltà iniziali a adattarsi alle formalità dei corsi, ma si trattava più che altro di problemi di lieve entità superati facilmente. Fra questi, tre si sono sentiti abbastanza frustrati e limitati dal rigore accademico richiesto.

Sette di coloro che hanno fatto il bachelor hanno detto che sono rimasti sorpresi e delusi nello scoprire che molti compagni di corso non avevano alcun interesse nelle materie studiate e in un pensiero critico e indipendente. Questi ragazzi sono andati al College sperando di immergersi in un ambiente intellettualmente stimolante, ma hanno scoperto che i loro coetanei erano più interessati a bere alcolici e far festa.

In sintesi, non ci sono state difficoltà nell’adattarsi alla vita accademica ma molti si sono detti scontenti della vita sociale del College, dove tutti erano più o meno della stessa età (ricordiamo che gli unschoolers e chi ha frequetato delle scuole democratiche sono creciuti a contatto con persone di età diverse). Inoltre, si sono sentiti “tagliati fuori” dal mondo esterno al campus. Alcuni hanno addirittura iniziato dei lavori part-time, non solo per guadagnare dei soldi, ma anche per mantenere un contatto con il mondo al di fuori del College (detto in altri termini: per una vita sociale normale).

Lavoro

Per quanto riguarda la carriera, a dispetto dell’età media molto bassa, al tempo del sondaggio quasi tutti gli intervistati (ad eccezione di alcuni studenti full-time e alcune madri con bambini piccoli) avevano un lavoro. 78% hanno detto che guadagnavano abbastanza da essere indipendenti (molti fra questi hanno sottolineato che anche se il loro stipendio era modesto, vivevano uno stile di vita parsimonioso, e questo permetteva loro l’indipendenza) .

I dati raccolti rivelano che molti unschoolers hanno seguito delle carriere che sono perfettamente in linea con gli interessi che hanno sviluppato nella loro infanzia. La tendenza è quella di scegliere un lavoro significativo, piuttosto che focalizzarsi unicamente sui guadagni. Molti lavorano come professionisti indipendenti e imprenditori in mestieri che richiedono molta creatività; e una buona fetta lavora in ambito STEM (carriere in scienza, tecnologia, ingegneria, matematica).

In più, risulta che la scelta della carriera non sempre riflette esattamente ciò che i ragazzi facevano negli anni precedenti in termini di attività specifiche, ma piuttosto degli ideali, o degli interessi a livello sociale che trovano lì le loro radici. Lo spiega molto bene una delle intervistate: “Gli strumenti che ho imparato da bambina—inseguire nuove idee/interessi/conoscenza, di risolvere i problemi in modo creativo, partecipare attivamente alla vita sociale, e altro ancora—mi hanno aiutato moltissimo. Sostanzialmente, è ciò che faccio ancora, solo che si tratta di un contesto diverso, di vita adulta.”

Creatività

36 (48%) dei 75 intervistati stava seguendo la via delle arti creative: belle arti, musica, fotografia, teatro, scrittura. 19 (79%) dei 24 partecipanti che hanno sempre fatto unschooling erano in questa categoria e questo è un dato molto significativo, anche a livello statistico.

Il fatto che un’alta percentuale di unschoolers intervistati abbia scelto un lavoro che richiede molta creatività è un'ulteriore dimostrazione del fatto che coloro che hanno goduto di maggiore autonomia durante la loro crescita e sviluppo tendono a diventare adulti insolitamente (auto)determinati, intraprendenti, creativi. I risultati sono consistenti con le ricerche dapprima menzionate: più autonomia durante l'infanzia/adolescenza si traduce in maggior creatività e auto-determinazione nel corso della vita.

La libertà che hanno gli unschoolers di seguire i loro interessi promuove la creatività. Questo, se riflettiamo, è logico. Per gli unschoolers apprendimento e vita non sono due cose separate. Tutto è creatività, anche per il semplice fatto che loro stessi creano la propria strada. A tal riguardo, i sociologi che hanno studiato la soddisfazione sul posto di lavoro hanno scoperto che le carriere più soddisfacenti sono proprio quelle dove la persona gode di maggiore autodeterminazione (fonte).

Il beneficio principale dell’unschooling per quanto riguarda l’istruzione superiore e il lavoro è quello di promuovere la responsabilità personale, motivazione, desiderio di apprendere. Questi aspetti sono davvero molto interessanti e da tenere in considerazione, soprattuto per quanto riguarda il futuro del lavoro.

Le forze del cambiamento e della globalizzazione stanno rimodellando tutto, compreso il modo di lavorare, il posto di lavoro, la forza lavoro ed il lavoro stesso. Un recente studio condotto all’University of Oxford stima che, a causa dell’effetto dell’automazione sull’occupazione, nel giro dei prossimi vent’anni, circa il 50% dei posti di lavoro che oggi conosciamo sarà a rischio (fonte). Vi saranno altre opportunità, questo è certo: si stima che il 65% dei bambini che iniziano adesso le scuole elementari, faranno dei lavori completamente nuovi, che oggi non esistono ancora (fonte). Se ci pensi, già oggi ci sono molti lavori che fino a dieci anni fa non esistevano (pensa al social media manager, ad esempio). 

V’è inoltre da dire che questa nuova economia non premia più obbedienza e docile remissività ma coraggio, audacia, motivazione, iniziativa personale, leadership. Come conseguenza della meccanizzazione dei processi operativi, le competenze richieste nel prossimo futuro saranno maggiormente incentrate su creatività, problem-solving, pensiero critico e indipendente, social intelligence (fonti: 1, 2).

Dunque, alla luce di questi dati, la domanda sorge spontanea: perché ci ostiniamo a formare i nostri ragazzi come se fossimo rimasti fermi agli inizi del secolo scorso?

La scuola così come la conosciamo è stata ideata per rispondere ai fabbisogni industriali, ma oggi nelle fabbriche ci lavorano i robot, e sempre meno esseri umani fanno e faranno dei lavori che possono essere automatizzati (e qui non si tratta solo della cassiera al supermercato, ma di qualsiasi lavoro dove viene utilizzato un codice che le macchine possono imparare: commercialisti, avvocati et cetera compresi).

Fatto è che il mondo sta cambiando, e molto in fretta, e se non cambiano le cose lo scenario più distopico che offre il prossimo futuro è quello di un enorme sviluppo tecnologico, accompagnato da carenza di talenti, aumento nelle diseguaglianze e disoccupazione di massa: una società indesiderabile sotto tutti i punti di vista. 


Certo, in questo post abbiamo visto una singola ricerca su soli 75 adulti e non possiamo generalizzare, ma una cosa la possiamo dire: l’educazione non si impara solo a scuola, e neppure il successo a livello accademico e professionale sono un’esclusiva di chi ha frequentato le scuole dell’obbligo.

Un’altra cosa da tenere in debita considerazione è la vocazione che, come sottolineato dallo psicologo statunitense James Hillman, viene ostacolata dalla scuola tradizionale. Al bambino non è infatti permesso di seguire i suoi interessi. Viene obbligato a seguire un certo percorso che molto spesso non è in linea con la sua volontà, i cui ritmi sono scanditi dal suono della campanella, e gli viene richiesto di imparare attraverso delle modalità che non sono proprio quelle naturali se di apprendimento vogliamo parlare.

Purtroppo, oggi il senso della vocazione è andato perduto… ma io credo che sarebbe utile ripartire da questa premessa: che ciascuna persona viene al mondo per un’intenzione, e che ognuno è chiamato a compiere una speciale funzione che gli è propria e di nessun altro. In buona sostanza, ogni individuo è il suo progetto di vita e tutti i bambini nascono con innate capacità di apprendere, biologicamente programmati per educare e realizzare se stessi.

In fondo, il bambino non è una tabula rasa. Non è un vaso da riempire, come affermava François Rabelais, ma forse neanche un fuoco da accendere come diceva lo scrittore e umanista francese... perché non iniziamo a considerarlo un fuoco che si accende da solo se gliene diamo la possibilità, offrendogli un ambiente ricco di stimoli e il supporto necessario per realizzare ciò che vuole?

L’educazione è definita “Il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società.” (Treccani) e i bambini la cultura la assorbono attraverso l’osservazione e incorporando quel che osservano nel gioco, come è praticamente sempre stato fatto durante tutta la storia umana prima del XIX secolo (prima non esisteva la scuola pubblica, o scolarizzazione di massa).

Oggi ai bambini non è neppure permesso giocare liberamente, e l’auto-apprendimento è limitato agli unschoolers e agli iscritti alle scuole democratiche, dove i bambini/ragazzi sono responsabili della propria educazione (e possono scoprire/seguire/realizzare la loro vocazione).

Gli studi condotti con l’aiuto di chi ha seguito questi percorsi rivelano che questo approccio all’educazione è decisamente molto efficace se ai bambini/ragazzi è offerta la possibilità di un ambiente adatto dove possono interagire liberamente con altre persone di età diverse, dove possono sperimentare i valori culturali in prima persona, possono giocare liberamente e sperimentare con gli strumenti della cultura: un tempo erano l’arco e le frecce, oggi sono i computer (fonte).

Siamo nel ventunesimo secolo, nell’era post-industriale, post-fordismo, post-taylorismo... e il futuro si sposta in questa direzione.

Gli strumenti potranno essere diversi, ma il concetto di fondo è quello di rimanere (o forse meglio dire: ritornare a essere) fedeli alla nostra vera natura, e non alienati da noi stessi (questo è il problema di fondo della nostra società, e per questo è importante ripartire da premesse diverse).

Riferendosi al libro di John Taylor Gatto, Weapons of mass instruction, Phyllis Schlafly, Presidente di Eagle Forum, ha detto che l'insegnamento tradizionale addestra i bambini a diventare impiegati e consumatori invece che leader e persone di successo... Come diceva Warren Bennis, "Diventare un leader è sinonimo di diventare se stessi" ma come si può diventare se stessi se si viene educati a essere come gli altri vogliono?

Per concludere, negli ultimi decenni molti hanno chiesto sempre più scuola... ma se invece ne servisse di meno?

“Un musicista deve fare musica. Un artista deve dipingere. E un poeta deve scrivere se vuol essere alla fine in pace con se stesso. Ciò che un uomo può essere, egli deve essere. Dev’essere fedele alla sua vera natura. Questo bisogno noi lo chiamiamo auto-realizzazione." Abraham Maslow

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).

Photo by Element5 digital on unsplash

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