L’educazione standardizzata che limita i bambini

educazione formazione leadership Mar 22, 2019

Oggi abbiamo un grossissimo problema con la scuola, in quanto stiamo preparando i nostri ragazzi per un mondo che non c’è più. Quella che abbiamo creato è una cultura della conformità, dove la straordinarietà e il fuori del comune sono guardati con sospetto. Abbiamo addirittura barattato la preziosa unicità del singolo individuo a favore del chiodo fisso di misurare la qualità dell’educazione (pur sapendo che la standardizzazione non solo impedisce la crescita e sviluppo dell’individualità, ma uccide creatività, immaginazione e curiosità che sono il vero motore dell’economia e del progresso).

Come premessa, va ricordato che l’organizzazione scolastica non è casuale ma è nata come investimento per il nostro futuro economico sulle basi dell’economia industrializzata. Il problema è che l’economia è cambiata mentre la scuola è rimasta la stessa di sempre e continua a perseguire dei vecchi obiettivi e focalizzarsi eccessivamente sulla standardizzazione, quasi lo scopo fosse quello di preparare gli allievi per le competizioni internazionali piuttosto che per il mondo reale.

I bambini sono diventati delle pedine nelle mani di genitori, insegnanti, scuole, nazioni che competono fra loro per vedere chi raggiunge i punteggi più alti nei test. Come ha sottolineato Peter Grey, in questo modo “stiamo deprivando i nostri figli del sonno, della libertà di giocare e esplorare — in altre parole deprivandoli della loro infanzia — con il solo scopo di ottenere i voti migliori.” (fonte)

DAI RAGAZZI SI PRETENDE SEMPRE DI PIÙ

Con l’organizzazione scientifica del lavoro il sistema è stato messo davanti all’Uomo. Compito della scuola era quello di sfornare operai prevedibili, mediocri, che potevano essere facilmente rimpiazzati e che avrebbero lavorato bene nel sistema. Insomma, ha cercato di trasformare le persone in macchine (basti pensare alla catena di montaggio). Ma oggi? In questa nuova economia è il lavoratore che porta contributo al sistema, non più il contrario come accadeva nel secolo scorso. E poi, nelle fabbriche ci lavorano i robot e sempre meno esseri umano fanno, e faranno, dei lavori che possono essere automatizzati.

La scuola è stata progettata sulle basi degli standard ma nessun bambino, nessun essere umano è standard ed è proprio questo il nostro punto di forza per competere con la robotica e l’intelligenza artificiale. Dobbiamo tornare a essere umani.

Nel prossimo futuro, sempre più tempo sarà dedicato ad attività che le macchine non possono replicare, richiedendo più abilità sociali e emotive, creatività e capacità cognitive più avanzate. Le competenze tecnologiche sono solo un piccola parte di ciò che servirà. Sono le “abilità umane” a essere importanti. Perciò, come sosteneva il filosofo e educatore statunitense Israel Schaeffler già negli anni Settanta, dobbiamo abbandonare l’idea di plasmare o modellare la mente dei bambini/ ragazzi. La funzione dell’educazione deve piuttosto essere quella di liberarla la mente, e rafforzare il potere personale dell’individuo attraverso l’auto-conoscenza, l’empatia, la risolutezza, l’intuizione e il pensiero critico e indipendente. Perché allora continuiamo a condizionare i bambini attraverso un vecchio modello educativo ideato per annientare tutti quei tratti naturali che contraddistinguono l’essere umano (iniziativa, creatività, giocosità, amore per l’apprendimento)?

Oggi dagli studenti si pretende sempre di più e la pressione per ottenere dei buoni voti si situa fra le maggiori fonti di stress. Secondo quanto rivela lo studio PISA 2015 commissionato dall’OECD, ansia da prestazione e timore di prendere dei voti bassi si impongono nei pensieri dei bambini e degli adolescenti. (fonte)

Alle nostre latitudini, stando a quanto emerge dallo studio Juvenir 2015, lo stress nasce a scuola ed è intimamente relazionato all’accentuato orientamento al rendimento/successo e alle eccessive pretese (fonte). Da un’altro studio, commissionato a Dipendenze Svizzera dall’Ufficio federale della sanità pubblica, emerge che quasi un terzo dei quindicenni si sente stressato e che indicativamente questo potrebbe anche essere dovuto agli obblighi scolastici e al fatto di dare sempre maggiore importanza alle buone prestazioni (fonte). Inoltre, le ricerche evidenziano che che quasi tutti gli undicenni risentono in qualche modo delle conseguenze di stress e ansia da prestazione: insicurezza, avvilimento, svogliatezza, disturbi del sonno, mal di testa, dolori alla schiena (fonte) e un terzo degli allievi delle scuole svizzere è stressato a tal punto da soffrire di sintomi tipici della sindrome da burn-out (ansia, insonnia, mal di pancia o di testa, stanchezza, depressione).

Il successo a scuola, nella formazione e nello studio sembrano avere la massima priorità per molti giovani, che oggi sono sempre sotto pressione e di tempo libero non ne hanno praticamente più. Più di metà dei ragazzi intervistati afferma di non avere più tempo per l’impegno sociale né per i propri hobbies e per vedersi con gli amici. (fonte)

MA LO SCOPO DELLA SCUOLA QUAL È?

Originariamente, lo scopo dell’educazione era quello di insegnare ai bambini a leggere la Bibbia e inculcare nella loro testa una certo sistema di credenze (programmazione religiosa). Educare e inculcare sono sempre stati visti come sinonimi. Se facevano ciò che veniva loro detto e si comportavano come gli adulti volevano ottenevano dei buoi punteggi, in caso contrario venivano picchiati e umiliati… e se non seguivano i dettami dei loro maestri sarebbero anche finiti all’inferno. Questo tipo di educazione occupava però solo una piccola parte della vita di un bambino.

Con la scuola pubblica, il tempo dedicato alla scuola diventò sempre maggiore; e con la rivoluzione industriale le scuole diventarono sempre più simili a delle fabbriche. Come scrisse l’educatore americano Elwood B. Cubberley, i bambini erano da considerarsi dei prodotti grezzi da modellare in prodotti che avrebbero soddisfatto le varie esigenze della vita secondo delle specifiche prestabilite. I bambini istruiti (a seguire le istruzioni) sarebbero così diventati lavoratori più compiacenti e produttivi. Sostanzialmente, l’idea di base era quella di applicare la scienza del management industriale alla leadership scolastica, monopolizzando l’educazione e trasformandola in un sistema il cui scopo era quello di trasformare i bambini in risorse umane conformi alle necessità del business, pronte per essere utilizzate dall’industria.

L’educazione di massa non è stata sviluppata per motivare i ragazzi o per svilupparne le potenzialità, ma per rispondere ai fabbisogni industriali dell’epoca; e questo rimane oggi il nostro metodo standard di istruzione, anche se siamo in una nuvola economia. La domanda è sorge dunque spontanea: perché continuiamo a formare i nostri ragazzi per l’economia industrializzata, sulle basi di una visione meccanicistica della natura umana e attraverso nuove riforme che mirano a una maggiore conformità? In questa nuova economia se non sei indispensabile (e dunque sei standard) e qualcuno può fare il tuo lavoro a un costo minore (macchina o uomo che sia) la sostituzione sarà presto una certezza. Perché allora continuiamo a modellare gli studenti in un prodotto sempre più standardizzato?

Sembra che anche tutte le riforme che vengono proposte sull’educazione abbiano come obiettivo una maggior standardizzazione, quasi avessimo preso il modello di fabbrica un po’ troppo sul serio. Infatti, a nessuno sembra importare dell’unicità e irripetibilità di ogni bambino, dei suoi interessi e desideri, dei suoi doni e talenti. Proprio come in una catena di montaggio, tutti i prodotti devono raggiungere certi standard e soddisfare dei criteri prestabiliti. Vi è un focus sempre maggiore sui test standardizzati, dove l’unica cosa importante sembra essere quella di raggiungere dei punteggi alti (e più alti degli altri); e una vera e propria ossessione per quanto riguarda la misurazione della qualità dell’educazione. Così facendo io credo che però stiamo perdendo di vista quello che dovrebbe essere il vero scopo dell’educazione, ovvero l’apprendimento, e il fatto che siamo esseri umani, non ingranaggi.

Uno dei problemi di fondo è che la scuola non insegna ai bambini nel modo naturale in cui loro apprendono, e questo è all’origine di moltissimi problemi. Prendiamo come esempio la lettura. Non c’è assolutamente nulla di preoccupante nel fatto che un bambino impari a leggere a 4 anni, un altro a 6 e un altro a 7. A 9 sapranno leggere tutti allo stesso modo e non sarà possibile dire chi ha iniziato prima (questo è stato confermato anche da John Taylor Gatto, docente con un’esperienza trentennale nell’insegnamento e “Two-time NY State Teacher of the Year”).

Imparare a leggere è semplice (e si impara anche molto velocemente) quando un bambino è pronto e vuole. L’istruzione scolastica pretende però che tutti imparino a leggere alla stessa età, allo stesso modo, che lo vogliano o meno. E qui si inizia anche a etichettare il bambino che ha qualche difficoltà (magari perché quello non era il suo momento) e snocciolare diagnosi su qualche disturbo dell’apprendimento, creando così degli handicap che si portano con sé per tutta la vita, quando semplicemente sarebbe bastato rispettare i tempi dell’individuo (certo, va detto che alcuni bambini possono avere dei problemi reali ma la varietà e la mole di diagnosi effettuate oggi porta a pensare che il problema non siano i bambini, in generale, ma piuttosto il sistema).

In questa selezione vi è un errore di fondo, e attraverso la standardizzazione non si tiene assolutamente conto dell’unicità di ogni bimbo, impedendo a molti di realizzare il proprio potenziale, e ostacolando così il cammino verso la propria realizzazione personale. L’educazione di massa è stata ideata per omologare, non per aiutare i ragazzi a trovare un posto nel mondo alla loro specifica vocazione. Oggi però non è la standardizzazione che serve, e il sistema andrebbe completamente rivisto in un’ottica che esalti le potenzialità della persona, che va rimessa al centro, davanti al sistema.

SEMPRE PIÙ STANDARDIZZAZIONE

I primi test standardizzati di cui si ha notizia risalgono alla Dinastia Han (206 a.C – 220 b.C). Gli esami imperiali erano strutturati per selezionare i dipendenti per la burocrazia statale e l’obiettivo era quello di creare una meritocrazia intellettuale basata sugli insegnamenti di matrice confuciana. Il sistema si consolidò durante le successive dinastie e fino alla fine del XIII secolo il materiale di base è rimasto quasi inalterato.

Per avere successo era necessario imparare i testi di Confucio a memoria, e questi creò del dissenso già all’epoca, che contribuì ad alimentare il malcontento che portò alla tragica rivolta di Taiping. Fondamentalmente, come scrisse Ye Shi, importante pensatore del neo-confucianesimo: “Una società sana non può realizzarsi quando le persone studiano non allo scopo di ottenere saggezza e conoscenza, ma allo scopo di diventare funzionari governativi.” (fonte 1, 2)

In Europa e negli Stati Uniti, i primi test standardizzati furono introdotti agli inizi del XIX secolo. Dal XX si fa sempre più affidamento su questi test, che sono stati spesso oggetto di critiche in quanto considerati discriminatori nei confronti di minoranze, razze e gruppi etnici; e sono stati utilizzati per la promozione di idee collegate all’eugenetica.

Taluni ritengono che limitino il normale apprendimento degli allievi, forzandoli a memorizzare risposte standard; e che queste misurazioni di rango determinino il valore della persona e possano causare enormi problemi a livello personale (senso di inferiorità, scarsa autostima, et cetera), che si ripercuotano poi negativamente anche sulla società. A scapito di ciò, oggi questi test sono diventati il marchio di eccellenza. Stando National Board of Education Testing and Public Policy Boston Group il valore dell’industria dei test standardizzati vale si aggira sui 400-700 milioni.

Negli USA, la riforma dell’educazione basata sugli standard è iniziata con la pubblicazione di A Nation at Risk: The Imperative for Educational Reform (1983) all’epoca dell’Amministrazione Reagan e rispondeva alle osservazioni di coloro che sostenevano che il sistema educativo americano non era allineato ai bisogni dell’economia e non era abbastanza competitivo e di qualità visti gli scarsi risultati nei test standardizzati. “Se un potere straniero ostile avesse tentato di imporre all’America la mediocre prestazione educativa che esiste oggi, potremmo averlo considerato un atto di guerra” si legge nel rapporto. (fonte)

Perciò, la risposta è stata “più scuola!” e più standardizzazione nel curriculum e nei metodi, con l’obiettivo di raggiungere dei risultati migliori delle rilevazioni internazionali. Fondamentalmente, è questo che incarnano le riforme educative “Goals 2000” di Clinton, "No Child Left Behind" (NCLB) di Bush, e “Race to the Top” (R2T) di Obama (e “La scuola che verrà” alle nostre latitudini).

IL SISTEMA CINESE COME LO SPUTNIK

Gli strabilianti risultati dei quindicenni cinesi che hanno partecipato per la prima volta al PISA 2010 e il fatto che i ragazzi americani non hanno ottenuto dei grandi punteggi ha portato i leader statunitensi a riconfermare il proprio impegno sul tema educazione… e a voler emulare i cinesi!

A quel tempo, Obama ha paragonato questa situazione al lancio dello Sputnik nel 1957, che ha spinto gli USA a fare dei grossi investimenti e vincere la corsa allo spazio. Ha dichiarato che con miliardi di persone in Cina e in India “improvvisamente collegate all’economia globale” le nazioni con i lavoratori più istruiti prevarranno ed “allo stato attuale, l’America rischia di restare indietro” (fonte)

Questo dimostra quanto è granitica la convinzione che educazione sia sinonimo di scolarizzazione e standardizzazione. Il Segretario all’Educazione Arne Duncan ha detto che tutto ciò era da considerasi come una Wake Up call! Le sue parole: “Viviamo in un’economia basata sulla conoscenza competitiva a livello globale, e i nostri figli oggi sono in svantaggio competitivo con i bambini di altri paesi. Questo è assolutamente ingiusto verso i nostri figli e mette a rischio la prosperità del nostro paese a lungo termine.” (fonte)

Contrariamente a quanto si possa pensare, i leader della controparte non sono per niente soddisfatti del fatto che i loro ragazzi ottengano dei punteggi così alti nelle competizioni internazionali. Si sono infatti resi conto che il loro sistema è perfetto per ottenere degli alti punteggi nei test, ma per altri aspetti decisamente controindicato in quanto soffoca creatività e imprenditorialità, qualità assolutamente basilari per avere successo nella nuova economia.

Come ha sottolineato Yong Zhao, professore alla School of Education presso l’Università del Kansas, per avere successo nella nuova economia gli studenti devono funzionare come imprenditori e noi dobbiamo iniziare a trattare i bambini come tali. (fonte)

Ironia della sorte, mentre gli americani suonano la sveglia per rincorrere il sistema cinese, i cinesi fanno l’esatto opposto.

Jiang Xuaqin, direttore della International Division of Peking University High School, ha dichiarato che gli alti punteggi ottenuti dai loro studenti sono in realtà un segno di debolezza: “Le scuole cinesi sono molto brave a preparare i loro studenti per i test standardizzati. Per questo motivo, non riescono a prepararli per l’istruzione superiore e per l’economia della conoscenza.” Ha inoltre aggiunto che i difetti dell’apprendimento meccanico e l’imparare a memoria sono ben noti e hanno una influenza negativa su abilità sociali e pratiche, autodisciplina, immaginazione. Contribuiscono inoltre a smorzare la curiosità e la passione per l’apprendimento. Risulta dunque fondamentale cambiare rotta, e stando a quanto afferma Xuaqin, un modo in cui si saprà quando saranno riusciti a cambiare le loro scuole è quando i punteggi ottenuti al PISA scenderanno. (fonte)

Se andiamo a vedere un po’ più da vicino il sistema educativo cinese, scopriamo che i ragazzi studiano davvero moltissimo. Non solo in Cina, ma anche in altre nazioni del Far East. In passato, ho avuto l’opportunità di viaggiare per motivi di lavoro in Korea, Giappone, Hong Kong, Taiwan e avendo frequentato college e università in Australia ho conosciuto diversi ragazzi orientali e sono sempre rimasto stupito dalla loro ferrea dedizione allo studio.

In Cina, le famiglie scommettono tutto sull’educazione dei figli, sperando che una buona formazione scolastica permetta loro di ottenere un buon posto di lavoro. I ritmi di studio sono incalzanti e variano dalle alle 12.5 ore al giorno (fonte). L’obiettivo è quello di ottenere un alto punteggio al Gaokao, il temuto esame che determinerà il loro accesso al college (questa situazione, va detto, non è poi così diversa da ciò che succede anche in altre nazioni, dove ancora oggi vi è la fortissima tendenza a credere che aver frequentato una prestigiosa università garantisca la sicurezza economica per tutta la vita, oltre che conferire un certo privilegio. In questo preciso istante mi è apparsa in mente l’immagine di Harvey Specter.  Sono un fan di Suits ;-)).

A tal riguardo, vi molta enfasi sulla performance e molta intolleranza nei riguardi del fallimento. La competizione è aspra, anche fra genitori e docenti che fanno di tutto per spremere i migliori punteggi dai loro figli e alunni, che vengono puniti, anche picchiati, se falliscono. E ogni risultato che non si avvicina alla vetta… è considerato un fallimento. Stando a una ricerca condotta su larga scala, tutto ciò porta ad alti livelli di stress e una varietà di problemi di natura psicosomatica. (fonte)

GAOFEN DINENG

Gli alti punteggi nel Gaokao sono celebrati anche dai media, ma non garantiscono però il successo nella vita e nel lavoro. In Cina, con riferimento all’organizzazione scolastica standardizzata, è comune sentire il termine Gaofen Dineng che tradotto significa essere bravi nelle prove e nei test ma in nient’altro. Questo perché gli allievi passano tutto il loro tempo a studiare, e non rimane loro alcuno spazio per essere creativi, per scoprire/inseguire le loro passioni, né per sviluppare capacità fisiche e competenze sociali. (fonte)

Come detto, oggi siamo arrivati a credere che educazione e scuola siano sinonimi, e che apprendere significhi spremere tonnellate di dati da imparare a memoria nelle teste dei ragazzi, che sono considerate come dei recipienti vuoti. Come spiega Yong Zhao, il sistema educativo che conosciamo è studiato per trasformare i bambini in lavoratori compiacenti e produttivi, per ridurli a degli ingranaggi che possono esser rimpiazzati al bisogno, proprio come in un processo industriale. Come un tempo, l’obiettivo è sempre quello di partorire diligenti e obbedienti lavoratori a basso costo che eseguano gli ordini, e questo indipendentemente dalla loro storia, dai loro interessi, e dalle diversità che li contraddistinguono, quando invece sono proprio questi tratti dell’essere umano a essere importanti. (fonte)

La rivoluzione post-industriale è qui (e siamo ben oltre la fase industriale della storia), ma questo rimane il nostro standard d’istruzione. Come ha ipotizzato Peter Grey, se gli americani e i cinesi riusciranno nel loro intento di emulare i rispettivi sistemi educativi, fra qualche anno potrebbe anche darsi che tutte le nuove invenzioni nasceranno in Cina, mentre negli USA gli specialisti avranno il loro bel da fare con disturbi e malattie infantili indotte dallo stress…

DOBBIAMO RIPENSARE I PRINCIPI EDUCATIVI SU CUI EDUCHIAMO I NOSTRI FIGLI

Innanzi tutto, dobbiamo fermarci un attimo, guardare cosa stiamo facendo e porci delle serie domande. A cosa serve la scuola? Qual è lo scopo dell’educazione? La si può davvero misurare? E questo vale anche per la vocazione? Anche per la vita?

Abbiamo adottato uno stile di vita molto frenetico, e forse per questo non ci siamo resi conto che attraverso il sistema in cui viviamo e lavoriamo, che pretende che tutto sia governabile, misurabile, prevedibile e la tendenza a ridurre ogni cosa a uno standard predefinito stiamo letteralmente rovinando i bambini.

L’educazione è un tema importantissimo che dovrebbe interessare tutti. Abbiamo sempre pensato che il nostro compito sia quello di preparare le nuove generazioni per il mondo di domani, ma è il modo in cui lo facciamo che dobbiamo rivedere.

Dal 1990 lo sviluppo delle nuove tecnologie è stato incredibile e nei prossimi anni verremo letteralmente investiti da uno tsunami tecnologico. Si stima che nel futuro prossimo 50% dei lavori che conosciamo oggi saranno a rischio; entro il 2025 le macchine svolgeranno più compiti degli esseri umani; entro il 2022 il 54% degli lavoratori necessiteranno di una riqualifica professionale; milioni di persone saranno costrette a cambiare lavoro; e che il 65% dei bambini che iniziano oggi le scuole elementari faranno un lavoro che ancora non esiste, usando tecnologie che ancora non conosciamo. (fonte 1, 2, 3)

Tutto sta cambiando molto in fretta a livello sociale, politico, economico e non ci è dato sapere come sarà il mondo fra uno, due, cinque anni. Eppure, così come ci siamo arenati su dei vecchi modelli educativi, siamo rimasti fermi alla domanda che si poneva Herbert Spencer nel 1859, quando la società di allora era nel bel mezzo di una grandiosa trasformazione tecnologica e industriale: “Quale conoscenza vale di più?”. Cerchiamo in tutti i modi di prevedere quali saranno le competenze richieste nel futuro, e cerchiamo di inculcarle nella testa delle nuove generazioni, totalmente ignari del fatto che stiamo andando nella direzione sbagliata.

Continuando a privilegiare un concetto meccanicistico dell’educazione, abbiamo perso di vista le cose importanti, e soprattutto che stiamo alienando i bambini da se stessi, trasformandoli in adulti frustrati e depressi (secondo l’OMS, entro il 2030 la depressione sarà la malattia più diffusa al mondo) che non trovano un senso in ciò che fanno (State of the Global Workplace report, 2013 e 2017).

Talmente impegnati nella sfrenata rincorsa ai punteggi più alti, abbiamo dimenticato che lo scopo dell’educazione dev’essere l’apprendimento, e non il risultato di qualche test scandalizzato.

Diciamo di mandare i nostri figli a scuola per imparare a pensare meglio, ma quel che in realtà stiamo facendo è deprivarli della loro volontà personale, della facoltà di pensiero critico e indipendente, e della loro immaginazione.

Abbiamo fatto un grosso errore: ci siamo fidati più degli esperti che dei nostri figli, ed è ora di rimediare. Le conoscenze che abbiamo oggi sull’infanzia, e sulla crescita e sviluppo dei bambini ci dicono chiaramente che siamo partiti da premesse errate. I bambini non sono un vuoto creativo da riempire con le nozioni della cultura dominante, ed è fondamentale che possano apprendere in modo naturale, secondo i loro tempi e modi, senza interferenze e senza che nessuno dica loro cosa devono o non devono fare, imponendo metodi e modelli ormai antiquati. Come conseguenza sono più felici, si sentono realizzati e hanno anche un ottimo successo a livello accademico e professionale (fonte). Questo oggi è ampiamente dimostrato anche dalle ricerche condotte con la collaborazione di studenti che hanno frequentato scuole democratiche fondate sul modello della Sudbury Valley School e gli unschoolers. (fonte)

Come ha dichiarato il prof. Zhao, invece che fidarci ciecamente di chi pretende di imporre la dittatura del pensiero comune prescrivendo un curriculum che riduce individualità e diversità in qualche skill da sfruttare nell’industria dovremmo invece cambiare totalmente la nostra visione e renderci finalmente conto che l’educazione deve iniziare dal bambino.

Non più, dunque, imporre ciecamente la nostra volontà sui bambini, ma rispettare la loro. Come affermato a più riprese, ogni bambino è un leader e questo stravolge i parametri a cui siamo stati abituati attraverso la nostra formazione, istruzione e cultura. Infatti, questo è un cambio di paradigma non indifferente e implica seguire il bambino, consapevoli del fatto che egli ha una sua volontà personale e sappia cosa è meglio per lui, piuttosto che dirigerlo e indirizzarlo dove e come noi vogliamo (noi infatti non conosciamo la sua vocazione e non sappiamo qual è la speciale funzione che egli sarà chiamato a compiere e dunque non possiamo insegnargli a diventare questo o quello, ma la soluzione migliore è seguirlo e permettergli di essere e divenire liberamente ciò che è supportandolo nel realizzare ciò che vuole).

Qual è la loro volontà? Questo dobbiamo chiederci.

Anche se l’educazione fosse circoscritta alla lettura ed alla matematica, oggi noi sappiamo che i bambini imparano molto facilmente a leggere quando sviluppano questo interesse e lo vogliono, e la stessa cosa vale per la matematica e tutto il resto. Questo oggi è ampiamente dimostrato (vedi, ad esempio, ricerche di John Holt, Peter Grey oppure dai un’occhiata alla libreria della Sudbury Valley School).

Fondamentalmente, tutto ruota attorno alla volontà, al volere.

Il punto è che negli ultimi secoli gli educatori hanno sempre evangelizzato che la volontà personale del bambino va stroncata per poter essere modellato a proprio piacimento, e per questo, essendo noi per primi stati disconnessi da noi stessi attraverso questa repressione pedagogica, sociale, morale della volontà facciamo davvero molta fatica a cambiare mentalità.

Dobbiamo però fare uno sforzo. Oggi sappiamo che l’educazione tradizionale produce standardizzazione e quel conformismo che, come diceva JFK, “è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo.” Quel che noi dobbiamo fare è invece permettere ai bambini di esistere, di essere e divenire ciò che sono. I bambini sono degli artisti, dei leader. Sono molto curiosi e vogliono dare un senso al mondo, e alla loro vita. Vogliono viverla la vita, ma non è quel che accade in un ambiente artificiale com’è la scuola di oggi, dove sono divisi per età, devono stare seduti per lunghe ore, seguire noiose lezioni in modo passivo, et cetera et cetera (va inoltre detto che che l’organizzazione scolastica standardizzata non insegna nel modo in cui i bambini apprendono, non è strutturata per questo, che risulta essere un limite enorme).

Inoltre, non possiamo dimenticare che ognuno di noi viene al mondo per un’intenzione, per necessità di vocazione e i nostri figli non sono un’eccezione. Insomma, cosa vogliamo per loro? Vogliamo forse che diventino degli adulti sottomessi, infelici, depressi? Dei lavoratori che eseguono gli ordini e obbediscono senza fiatare? Degli impiegati mediocri, prevedibili, facilmente ricambiatili?

Io non credo proprio.

Francamente, quel che io voglio per i miei figli è che siano liberi. Credo che la libertà e l’indipendenza siano il dono più grande che possiamo fare ai nostri ragazzi. Non devono guadagnarsi la nostra approvazione e il nostro amore. Noi li dobbiamo rispettare e amare, senza condizioni e in ogni occasione, a prescindere da quale sia il loro comportamento. È altresì importante che mantengano la loro integrità (e se non siamo noi a spezzarla la mantengono!) e possano essere liberi di essere se stessi. Ritengo sia fondamentale che possano sviluppare un pensiero critico e indipendente, e seguire quella che è la loro volontà senza essere obbligati a genuflettersi alla nostra. Che possano crescere senza paure né condizionamenti, verso la loro autonomia e indipendenza, e che possano sviluppare tutti i tratti, le competenze, le abilità, le qualità che necessitano per vivere una vita felice e realizzare se stessi.

La questione di fondo è che tutte queste cose non si imparano a lezione, in un’aula scolastica. Sono cose che un bambino apprende in modo naturale, quando gli si permette di essere libero e gli si concede tutto il tempo necessario per giocare, esplorare, scoprire, vivere… e apprendere.

I bambini, ricordiamolo ancora (credo che dobbiamo ripeterlo molte volte, finché non lo comprendiamo!), hanno una innata capacità di imparare. Sono biologicamente programmati per auto-educare se stessi e in realtà noi non abbiamo proprio nulla da insegnare loro (semmai, il nostro compito è quello di offrire loro tutte le opportunità e possibilità per crescere verso la loro autonomia e indipendenza). Come ha affermato il Professore di psicologia all’Università di Torino Gian Piero Quaglino, l’auto-apprendimento è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca, e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che qualcos’altro che gli viene imposto da terzi. Oggi è questo ad essere importante: innamorarsi dell’apprendimento, e imparare ad apprendere così bene da essere in grado di utilizzare questo skill per imparare tutto ciò che è necessario senza difficoltà, e questo i bambini lo sanno fare benissimo, se noi non ostacoliamo il loro naturale percorso di crescita cercando di trasformare ciò che sono in uno standard predefinito.


Referenze:

  • Be Glad fo Our Failure to Catch Up with China in Education, Peter Grey
  • can You Measure an Education? Can You Define Life's Meaning? Peter Grey
  • China's Education System Made me an Individual, David Jiang
  • In China, Families Bet it All on Colleges for their Children, Keith Bradsher
  • Learning All The Time, John Holt

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).


Photo by Sharon McCutcheon on unsplash

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