No, non serve più scuola

educazione formazione leadership Mar 30, 2019

L’organizzazione scolastica standardizzata non è causale, ma è nata come investimento per il nostro futuro economico, sulle basi dell’economia industrializzata.

Secondo il primo commissario americano per l’educazione, William T. Harris, lo scopo della scuola doveva essere quello di alienare i bambini da se stessi. Egli riteneva che questo era il segreto del successo della società industriale.

L’educazione di massa non è stata infatti sviluppata per insegnare ai bambini a essere creatori/leader/imprenditori, ma per trasformarli in consumatori psichicamente schiavizzati e lavoratori più compiacenti e produttivi, che avrebbero lavorato bene nel sistema. Egli disse chiaramente che “Le scuole sono state progettate scientificamente per impedire un’educazione eccessiva. L’americano medio dev’essere contento del suo umile ruolo nella vita, poiché non tentato a pensare a nessun altro ruolo” (Harris sosteneva che in ogni nazione civile il 99% delle persone sono degli automi, attenti a camminare su percorsi prestabiliti e seguire i dettami della società, e che questo è il risultato dell’educazione).

A tal proposito, Charlotte Iserbyt, che lavorava per il Dipartimento dell’Educazione all’epoca dell’Amministrazione Reagan, ha affermato che l’educazione è stata deliberatamente dirottata, con il perverso intento di istupidire le genti, distruggere il libero arbitrio delle persone, e renderle totalmente incapaci di pensare e agire in modo diverso da quello imposto dalla Stato, subordinato alle corporazioni: una strategia a lungo termine per manipolare e schiavizzare le menti, eliminando l’identità individuale a favore di un conformismo fasullo, e riducendo l’autodeterminazione al credere di “dover volere” imposto dalla società. (fonte)

Secondo questa logica, è nell’interesse politico e economico stroncare la volontà personale dei bambini (come evangelizzavano gli educatori di un tempo e gli “architetti” del sistema scolastico che conosciamo, come ad esempio August H. Francke e Johann G. Fichte), renderli docili e obbedienti, omologarli, determinare/selezionare il loro ruolo nella società, e istruirli per la “macchina sociale”, creando così un flusso continuo di lavoratori servili e consumatori irrazionali. (fonte)

Tutto in perfetto stile Divide et Impera. I bambini dovevano essere portati a non fidarsi di se stessi, delle loro famiglie, degli altri. Fondamentale dunque promuovere la competizione, invece della cooperazione. Le altre persone vanno viste come dei rivali, e non come dei preziosi collaboratori verso uno stesso fine. Un alto grado di disunità è facilmente gestibile, mentre l’unione, si sa, fa la forza.

Nel corso degli ultimi due secoli la scuola è dunque passata dall’insegnamento dell’alfabetizzazione di base a uno strumento per plasmare l’identità sociale nelle mani dello Stato, con il fine di gestire un elettorato inoffensivo che, deprivato della propria volontà personale, non crea troppi problemi e accetta senza obiezioni l’idea generale.

CHI HA CREATO LA SCUOLA NON AVEVA A CUORE I TUOI INTERESSI (MA I SUOI)

Molti fanno un po’ fatica a vedere l’organizzazione scolastica standardizzata come un progetto di ingegneria sociale, ma come scrive John T. Gatto in una lettera a sua nipote Kristina (che si trova nel libro Weapons of Mass Instruction) le persone che hanno creato scuole e colleges non avevano il bene comune in mente, ma solo i propri interessi.

Come scrive Gatto, per quanto riguarda la scuola nessun gruppo è stato più influente dei pragmatici filosofi di Cambridge, e fra questi troviamo Charles Sanders Peirce, considerato l’eminenza grigia dietro alcuni dei maggiori esponenti del pragmatismo filosofico, come John Dewey e William James.

Contemplando l’avvento della scuola obbligatoria, in The Fixation of Belief (1877) Peirce scrisse: “Lascia che sia la volontà dello stato ad agire, allora, in luogo di quella dell’individuo. Si crei un’istituzione che abbia come scopo quello di mantenere le dottrine corrette dinanzi all’attenzione del popolo, di reiterarle perpetuamente, e di insegnarle ai giovani, avendo allo stesso tempo il potere di impedire che dottrine contrarie vengano insegnate, sostenute, o espresse. Lasciate che tutte le possibili cause di un cambiamento di mentalità siano rimosse dall’apprensione degli uomini. Che rimangano ignoranti, affinché non imparino a pensare in modo diverso.”

Secondo Peirce, sarebbe stato fondamentale influenzare le opinioni della comunità, in modo tale che tutte le opinioni diverse [dal pensiero comune] sarebbero state guardate non solo con sospetto, ma con odio e orrore (questo ricorda il pensiero di Edward L. Bernays, padrino della propaganda moderna, il quale sosteneva che l’elemento fondamentale della democrazia è manipolare con intento le opinioni e le abitudini delle masse…).

In buona sostanza, come afferma il Two-Time New York State Teacher of the Year, questo è ciò che John Dewey proponeva alla sua clientela in relazione all’importanza di raggiungere i loro obiettivi attraverso la scuola; ed è la medesima dottrina che ha spinto William James a assegnare un posto d’onore nella scuola alla formazione delle abitudini piuttosto che allo sviluppo intellettuale (Principles of Psychology, 1980): “L’abitudine è l’enorme volano della società, il suo più prezioso agente conservatore. Essa sola è ciò che ci tiene tutti entro i limiti dell’ordine, e salva i figli della fortuna dalle rivolte dei poveri.” Inoltre, continua il nosto psicologo e filosofo statunitense, “Tiene il minatore nella sua oscurità. E impedisce che differenti strati sociali di mescolino.”

Ci sono molti altri esempi, ma credo che già questi siano sufficienti per comprendere che la scuola non è nata per sviluppare il potenziale dell’individuo. Anzi, come ci ricorda Stuart Chase, quotando e commentando The Study of Man di Ralph Linton (The Proper Study of Mankind, 1948), “Il talento individuale è troppo sporadico e imprevedibile per poter avere un ruolo importante nella società. I sistemi sociali che durano sono costruiti sulla persona media, che può essere addestrata per occupare qualsiasi posizione in modo adeguato, se non brillantemente.”

SCUOLA E EDUCAZIONE NON SONO LA STESSA COSA

Se ci rivolgiamo a Wikipedia, scopriamo che il termine scuola “deriva dalla parola latina schola, derivata a sua volta dal greco antico σχολεῖον (scholèion), da σχολή (scholḗ).” Riferendosi al vocabolario etimologico della lingua italiana, l’autore evidenza che “Il termine greco significava inizialmente ‘tempo libero’, per poi evolversi: da ‘tempo libero’ è passato a descrivere il ‘luogo in cui veniva speso maggiormente il tempo libero’, cioè il luogo in cui si tenevano discussioni filosofiche o scientifiche durante il tempo libero, per poi descrivere il ‘luogo di lettura’, fino a descrivere il luogo d’istruzione per eccellenza.”

Questo luogo è invece dipinto da altri come un laboratorio di sperimentazione psicologica. La critica più severa è che le scuole non insegnano nel modo in cui i bambini imparano, ma sono state progettate per servire i fini di un’economia di comando e stabilire un certo ordine sociale.

L’organizzazione scolastica standardizzata è nata sulle basi del sistema prussiano, per favorire le priorità e la convenienza di terzi, e non dello studente. Sviluppatasi attorno ai principi del comportamentismo, l’educazione scolastica moderna soffoca la creatività e la curiosità dell’individuo e addestra le persone a rispondere come una massa, che è facilmente manipolabile… ed è ciò che necessita (e richiede) un’economia di produzione di massa.

Attraverso questo sistema i bambini sono portati a essere annoiati, stressati, spaventati, fortemente competitivi, invidiosi, bisognosi a livello emotivo, a sentirsi incompleti e vuoti. Secondo Gatto, sono livellati a essere “senza spirito, ansiosi, obbedienti, senza Dio, e senza famiglia.” Una pentola a pressione dello psicodramma, l’ha definita l’autore statunitense.

Con riferimento allo scopo della scuola ci si riferisce spesso all’alfabetizzazione, ma oggi è una considerevole percentuale di persone che hanno terminato il college hanno bisogno di altre persone che interpretino le informazioni per loro: moltissimi non sono in grado di leggere le istruzioni di un medicamento, o di comprendere un articolo di giornale! A tal proposito, come spiega egregiamente Gatto nei suoi libri, tecniche pubblicitarie, di PR, e forme più forti di una propaganda quasi-religiosa sono così pervasive nelle nostre scuole che le capacità di giudizio e di pensiero critico e indipendente sono letteralmente soffocate.

Come conseguenza, l’istruzione governativa — intrisa delle scienze sociali e gestionali alla base della scolarizzazione forzata — tende a istupidire le persone, e non a renderle più brillanti. Aliena i bambini da se stessi e dalle loro famiglie, ed è alla base della strutturazione gerarchica delle classi sociali. La scuola che noi tutti conosciamo non è un prodotto della conoscenza scientifica di come i bambini apprendono, ma piuttosto del nostro passato. È stata ideata sulle basi dell’economia industrializzata, per rispondere ai fabbisogni industriali dell’epoca, e rispecchia una gestione top-down, la standardizzazione, l’attenzione a efficienza e produttività tipiche di una fabbrica. Di certo, non è molto efficace nel promuovere un’educazione come la definirebbe una persona dalle idee liberali e democratiche.

In più, come ha sottolineato Michael P. Farris, Chairman di Home School Legal Defense Association, “Un popolo che crede nella libertà non emergerà mai da un sistema che inizia con la coercizione.” Ovviamente, Farris intende l’obbligatorietà, e si riferisce ai bambini, che vogliono essere altrove e imparare in modo diverso. Come rivela uno studio su larga scala, i ragazzi sono infatti molto meno felici a scuola rispetto a qualsiasi altro contesto in cui si trovano regolarmente (fonte) e problematiche come stress e burn-out sono notevolmente aumentate fra i banchi di scuola nel corso degli ultimi anni (fonte).

Oggi vi è inoltre un focus esagerato sulla standardizzazione, ma credo sia fondamentale fare una distinzione ben precisa: standard elevati e standardizzazione sono due cose ben diverse, e la stessa cosa vale per scuola e educazione. La scuola ha piuttosto a che vedere con le abitudini e un certo tipo di comportamento (atteggiamenti, valori, credenze) che l’istruzione si prefigge di modificare (a favore di terzi), mentre la vera educazione può partire solo dalla consapevolezza di sé. Si tratta infatti di qualcosa che ha a che vedere con la padronanza di sé innanzi tutto, per poi evolvere verso la propria realizzazione personale, e riguarda un processo naturale di crescita e apprendimento.

In relazione a ciò, considerare i bambini come dei recipienti vuoti da riempire con le nozioni della cultura dominante, oppure come degli esseri biologicamente programmati per educare/realizzare se stessi fa tutta la differenza del mondo.

Risulta dunque essenziale tre le distinzione fra scuola (istruzione scolastica) e educazione: per scuola s’intende l’insieme di procedure usate dagli specialisti per indurre i bambini a acquisire un determinato insieme di abilità, conoscenze, valori e idee definiti come un curriculum che sono stati decisi dalle istituzioni; mentre l’educazione è l’intero insieme di processi attraverso cui ogni individuo acquisisce le abilità, le conoscenze, i valori della cultura in cui cresce. Come sottolinea Peter Grey, con questa definizione, “la scolarizzazione è una parte relativamente piccola dell’educazione” e quella porzione che non si verifica a seguito della scolarizzazione è in gran parte auto-diretta (si tratta di attività scelta dall’individuo, in base ai propri interessi). L’educazione si basa infatti sull’auto-apprendimento, in quanto è così che un essere umano apprende naturalmente a formare delle connessioni. Non disconnesso da se stesso, isolato in un aula lontano dalla famiglia, dalla società, dalla cultura.

John T. Gatto afferma che la scuola è organizzata sulle basi di un sistema gerarchico di comando e controllo (esterno), mentre l’educazione è auto-diretta (dall’interno). L’istruzione scolastica si distanzia da come l’essere umano apprende in modo naturale, perché obbligata a farlo per raggiungere l’efficienza produttiva. Nell’apprendimento vero e proprio non vi è bisogno di seguire servilmente la direzione, le regole e gli ordini dettati da altri ma per il fine della scuola così com’è ancora impostata oggi non sono possibili variazioni in tal senso. Decisamente pertinente la domanda che si pone l’autore: “Più scuola viene offerta in maniera diretta da leader politici e funzionari aziendali come la soluzione alla crescente incoerenza sociale a altri problemi, come la mancanza di obiettivi, l’incompetenza, le discrepanze sociali, et cetera. Ma se meno scuola ha contribuito a causare queste cose, come potrebbe più scuola aggiustarle?”

L’EDUCAZIONE CHE FAVORISCE I REGIMI TOTALITARI

Oggi sono sempre più le famiglie che scelgono un percorso educativo alternativo per i loro figli. Il fenomeno dell’educazione parentale è sempre più diffuso, soprattutto nei paesi anglofoni. In molte nazioni, la cosiddetta l’istruzione domiciliare è invece severamente vietata e le forze dell’ordine intervengono nel caso di inadempienza all’obbligo scolastico.

Ha fatto molto discutere il caso di Melissa Busekros, in Germania. Stando a quanto riportato dai media, la giovane ragazza avrebbe dovuto ripetere un anno di scuola in quanto non andava molto bene in un paio di materie (matematica e latino). Visto che andava bene nelle altre, i genitori hanno pensato che l’homeschooling sarebbe stato meglio e hanno dunque inoltrato la richiesta al Ministero della Pubblica Istruzione bavarese (nel settembre 2004. Richiesta poi respinta a gennaio 2005).

Quando i genitori hanno informato le autorità che la ragazza non avrebbe frequentato la scuola, gli istituti sociali e la polizia l’hanno prelevata in modo coatto dalla sua abitazione e portata da uno psichiatra per una valutazione (interrogatorio di 4 ore). Poi, in una seconda occasione, a sedici anni è stata forzatamente prelevata dalla sua abitazione da una squadra di 15 agenti in assetto da combattimento, ricoverata in un ospedale psichiatrico e allontanata dalla famiglia.

Le autorità tedesche hanno considerato come pericolosa la famiglia, e alla ragazza è stato concesso di vedere i suoi familiari solo un’ora alla settimana. Gli psichiatri l’hanno considerata come mentalmente disturbata e la diagnosi è stata quella di “fobia della scuola”. Le istituzioni hanno negato che tutto questo abbia in qualche modo a che fare con la scelta della famiglia di fare homeschooling. I servizi sociali di Erlangen (Youth Welfare Office / Jugendamt) hanno sottolineato che il motivo sono le relazioni familiari, e soprattutto l’obbedienza dimostrata dalla giovane nei confronti del padre, il quale pare abbia descritto lo stato come fascista, e delle sue ideologie.

A detta di Jörn Grosselümern (Netzwerk Bildungsfreiheit), pare che le autorità considerino le strette relazioni fra genitori e figli come un pericolo. L’avvocato della famiglia, Gabriele Eckermann gli ha fatto eco, scrivendo che secondo i servizi sociali, gli adolescenti normali sono solo quelli che vivono secondo le loro regole, non amano i propri genitori, e si ribellano contro di loro, cooperando con polizia, corte di giustizia, servizi sociali e esperti (medici) contro di essi.

Ora, non sta a me giudicare l’operato delle autorità anche se mi sembra un po’ eccessivo prelevare una ragazzina in stile SWAT, ma dalle poche informazioni in mio possesso quel che mi sento di dire è che se le leggi in vigore in Germania sono quelle, non ci sono molte alternative. Anche da noi, in Svizzera, l’homeschooling non è legale dappertutto e se una famiglia non rispetta l’obbligo scolastico intervengono i servizi sociali e la polizia (anche se forse non il Reparto Interventi Speciali della Polizia Cantonale), esattamente come in Germania.

A parte questo, la famigerata agenzia federale tedesca per l’infanzia (Jugendamt) — le cui decisioni sono vincolanti e, come scrive Niccolò Rinaldi sull’Huffington post, “in patria gode della fama di baluardo della protezione sociale basata su un pilastro: ogni bambino è un patrimonio della comunità e dello Stato e il suo benessere è legato a un’educazione tedesca" — non sembra comunque godere di molta simpatia, in quanto qualche decennio fa è stata utilizzata dai nazisti per sovvertire l’autorità parentale e prendere il controllo sui bambini. Le aspre leggi anti-homeschooling trovano infatti le loro radici anche in Adolf Hitler.

Su questo delicato argomento, non dobbiamo inoltre dimenticare che proprio in Germania trova la sua origine il sistema scolastico moderno. Nel sistema prussiano, i bambini non erano considerati come esseri umani con uno straordinario potenziale, ma come dei recipienti vuoti da riempire con le nozioni della cultura dominante.

A suo tempo, Johann G. Fichte, secondo il quale la sconfitta contro Napoleone nella battaglia di Jena era dovuta alla disobbedienza dei loro soldati, riteneva che una gestione ottimale della popolazione non sarebbe stata possibile se le persone si consideravano come degli individui sovrani, dotati di volontà personale e immaginazione. Perciò era intenzionato, attraverso la scuola dell’obbligo, a rimuovere queste qualità e educare i bambini alla rigida obbedienza.

Tutti avrebbero dovuto imparare a prendere ordini. La scuola avrebbe dunque formato: soldati obbedienti per l’esercito, lavoratori obbedienti per le miniere, diligenti dipendenti pubblici per il governo, diligenti operai e impiegati per l’industria, e cittadini che accettano senza obiettare l’idea generale (questo, secondo Fichte, avrebbe anche creato consenso e unità a livello nazionale).

Lo scopo della scuola non era dunque lo sviluppo intellettuale, ma la subordinazione — l’obbedienza all’autorità. In questo modo, la popolazione non avrebbe interferito con la volontà dello Stato. Qui stiamo infatti parlando di un’educazione all’obbedienza che viene impartita a partire dai primissimi anni di vita. Il principio è quello che bisogna sempre obbedire ai superiori, qualsiasi cosa essi esigano. Sostanzialmente, si tratta di una totale sottomissione del bambino alla volontà dell’adulto, e questo influirà su tutta la sua vita in quanto anche da adulto vivrà la volontà altrui come propria e non avrà potuto sviluppare altra capacità che quella di obbedire agli ordini altrui.

Nei suoi libri Alice Miller propone l’intima relazione fra la rigida educazione in Germania e la nascita di regimi totalitari come il nazismo. In La persecuzione del bambino cita un interessante commento di Joachim Fest: “È probabile, infatti, che Hitler sia stato enormemente favorito dai danni recati dall’educazione di un’epoca che prendeva i suoi esempi pedagogici dalle caserme, e che educava i propri figli ai principi di durezza dei cadetti.”

È altresì degno di nota che la linea di difesa dei criminali nazisti al processo di Norimberga è stata quella di aver semplicemente eseguito gli ordini. Nessuno può giustificare quanto accaduto, ma come spiega la Miller, è molto probabile che sia quello che è veramente accaduto. Parlando di questi uomini, scrive: “Li si è educati così precocemente e con tanto successo all’obbedienza, che tale educazione non ha ai mancato nel suo intento, che quella costruzione non ha falle, non fa acqua da nessuna parte, e nessun sentimento l’ha mai scossa; per tutta la vita questi uomini hanno eseguito gli ordini che venivano loro impartiti, senza mai metterne in discussione il contenuto. Non perché li ritenessero giusti, ma semplicemente perché si trattava di ordini; li hanno eseguiti proprio come raccomanda la ‘pedagogia nera’”.

In aggiunta, sottolinea la psicoterapeuta e saggista svizzera: “Può essere considerato un ‘colpo di genio’ da parte di Hilter l’aver offerto ai tedeschi — così precocemente educati alla durezza, all’obbedienza e alla repressione dei sentimenti — gli ebrei come schermo per le loro proiezioni. E tuttavia l’impiego di questo meccanismo non è per nulla nuovo. È possibile osservarlo nella maggior parte delle guerre di conquista, nella storia delle Crociate, dell’Inquisizione e anche nella storia più recente. Ma fino ad ora si è prestata invece scarsa attenzione al fatto che ciò che si definisce educazione del bambino si fonda in gran parte su questo stesso meccanismo e, viceversa, al fatto che lo sfruttamento di tali meccanismi per scopi politici non sarebbe possibile senza questo tipo di educazione.”

Indubbiamente, questo modo di educare ha delle serie controindicazioni, che nel secolo scorso ha portato alle due più devastanti guerre della storia moderna. A tal proposito, non è solo Alice Miller ad aver fatto delle connessioni in tal senso. Erich Maria Remarque, autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale ha ricondotto le cause della prima guerra mondiale direttamente ai maestri di scuola e le loro bugie. Fu poi criticato dai nazisti e libri come quello menzionato e The Road Back censurati/distrutti.

Il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer affermò che la seconda guerra mondiale era il prodotto inevitabile della buona scuola secondo la tradizione prussiana: che rimuove la capacità di pensare per se stessi, razionalmente/moralmente. Come ricorda Gatto, Bonhoeffer intendeva letteralmente e non in senso metaforico. Questo genere di educazione insegna alle persone ad aspettare che qualcuno dia loro gli ordini, che dica loro esattamente cosa fare.

L’educazione all’obbedienza soffoca la capacità di pensiero critico e indipendente. “È vero che a volte gli studenti ben istruiti sembrano intelligenti, perché memorizzano molte opinioni di grandi pensatori, ma in realtà sono gravemente danneggiati perché la loro capacità di pensiero è rimasta a un livello rudimentale e sottosviluppato.” John T. Gatto

ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI PIÙ SCUOLA?

Al giorno d’oggi abbiamo adottato una vera e propria “mentalità scolastica” in tutti i sensi. Nella nostra cultura vi è infatti la credenza che “più scuola!” sia la risposta ai problemi e che sia necessario per avere successo nella vita. In un articolo su Psychology Today, Peter Grey propone un’interessante analogia fra scuola e medicamenti: “Oggi si pensa infatti che il successo sia intimamente relazionato all’istruzione scolastica (anche se, in realtà, tutti coloro he hanno raggiunto uno straordinario successo non lo hanno rapportato alla scuola…). Proprio come una medicina, [la scuola] potrebbe magari non essere piacevole ma è considerata un mezzo necessario per superare una certa malattia, in questo caso la malattia dell’ignoranza. Inoltre, sembra anche esserci il presupposto che per quanto riguarda questa specifica medicina, più è sempre meglio! In altre parole, se una certa quantità di istruzioni non produce i risultati desiderati, la soluzione che si propone è quella di fornirne di più e ciecamente, continuano su questa pista, con poca riflessione sui possibili effetti dannosi del sovradosaggio.” A tal proposito teniamo presente che, come emerge dalle ricerche, lo stress nasce fra i banchi di scuola e negli ultimi anni questo genere di problematiche sono aumentate in modo considerevole. (fonte)

Dal lato economico, è anche logico che vi sia anche un certo interesse economico nell’ampliare il sistema educativo. In fondo, la scuola è un business, e dalla sua espansione sono diversi gli attori che ne traggono profitto. “Più scuola!” (più ore, più anni di studio, si parla anche di estendere l’obbligatorietà ai 18) vuol dire: più docenti, più persone per l’amministrazione scolastica, altri/più libri di testo, nuovi corsi per motivare i bambini et cetera.

“Più scuola!”, in termini di ore (a scuola e da dedicare allo studio), significa anche meno tempo libero per i bambini. Già adesso non ne hanno praticamente in più, e un semplice paragone con i nostri genitori e i nostri nonni (perlomeno per quelli della mia generazione) evidenzia come oggi le giornate dei nostri giovanissimi siano esageratamente programmate (ricordo quando stavamo a Grottammare. N., che allora frequentava la terza elementare, passava la mattina a scuola e aveva talmente tanti compiti che quotidianamente, fino alle 19, non aveva tempo di fare altro). In più, oltre alla scuola e allo studio, è sempre più comune che il tempo libero venga organizzato dai genitori (attività sportive, lezioni di X o Y, et cetera), e i bambini non sono più liberi di giocare liberamente o fare altro.

Stiamo letteralmente rubando ai bambini il tempo di scrivere la loro storia, pretendendo di scriverla noi per loro. Li stiamo deprivando del tempo di scoprire chi sono e cosa vogliono, di seguire le loro passioni, i loro interessi. Inoltre, come adulti/genitori abbiamo paura di tutto: che ai bambini succeda qualcosa di male (e qui sono complici i media!)… e così lo rinchiudiamo in casa (a studiare oppure davanti alla TV o il computer) invece che lasciarli liberi di giocare all’aperto, e anche che non ottengano il successo a livello scolastico (e per questo li obblighiamo a studiare di più!).

In Cina, ad esempio, l’obiettivo dello studio è quello di raggiungere dei buoni punteggi nel Gaokao, l’esame che permette l’accesso college e università. Nel resto del mondo le cose non sono molto diverse, e vi è un po’ dappertutto la forte credenza che aver frequentato una prestigiosa università garantisca la sicurezza economica per tutta la vita, oltre che conferire un certo prestigio (anche per i genitori: “mio figlio ha studiato ad Harvard”, oppure a Princeton, Yale, Oxford). Di base, vi è anche la convinzione che “più scuola!” porti al successo nella vita ma oggi va anche detto che il successo accademico non garantisce più un buon posto di lavoro.

A scapito di ciò, il focus sembra essere esclusivamente quello di preparare i ragazzi a ottenere dei buoni punteggi nei test standardizzati, ma non per la vita e per il mondo reale. In questo modo, rubiamo l’infanzia ai bambini, iniziando sin da piccoli a prepararli per la vita accademica. Per citare un esempio molto significativo, nel 2014 un asilo di New York ha cancellato lo spettacolo di fine anno in modo tale da dedicare più tempo alla preparazione dei bambini per college e carriera: all’insegnamento di “valuable lifelong skills” (per diventare “strong readers, writers, co-workers and problem solvers). Questa la ragione per l’eliminazione dello spettacolo. Nella circolare inviata ai genitori la direzione motiva la scelta di eliminare lo spettacolo riferendosi alle richieste dell’economia del 21esimo secolo, sostenendo che la decisione è stata presa nell’interesse dei bambini e ricordando di essere “responsabili per la loro preparazione al college e alla carriera”. (fonte)

Ma abbiamo davvero bisogno di “più scuola!”?

L’economia è mutata radicalmente, questo è vero… la rivoluzione post-industriale è qui… ma perché allora continuiamo a perseverare nel voler formare lavoratori per l’economia industrializzata? Servono davvero tutte quelle ore di lezione, cinque giorni alla settimana, nove mesi all’anno, per undici anni? Servono davvero più ore, più giorni, più compiti?

A questo proposito, non dobbiamo nasconderci dietro la scusa dell’alfabetizzazione, perché i risultati che ottengono i ragazzi che le scuole non le frequentano (come nel caso homeschooling e unschooling) e quelli degli allievi delle scuole democratiche (come la Sudbury Valley School) dimostrano in modo inequivocabile che non è solo attraverso l’organizzazione scolastica standardizzata che si impara a leggere, a scrivere e far di conto.

Se poi andiamo a vedere la biografia di importanti personaggi come G. Washington, B. Franklin, T. Jefferson, A. Lincoln et cetera, la convinzione che sia la scuola a portare al successo nella vita comincia a vacillare… Difatti, anche se non andiamo così tanto indietro nel tempo e portiamo il nostro sguardo a persone di successo dei tempi moderni, come R. Branson o G. Vaynerchuck per citarne alcuni (qui ne trovi altri), di scuola non ne hanno vista molta o comunque non erano allievi di serie “A” (ma “E” o “F”). Detto in altri termini, chi ha ottenuto uno straordinario successo in ambito professionale, anche qui, pensiamo ai vari Steve Jobs o Bill Gates, non lo riconduce al college o alla scuola, in generale.

Il successo non è sinonimo di scuola, così come il termine “descolarizzato” non significa illetterato. Se penso alla mia esperienza personale, il mio percorso è stato abbastanza eclettico e all’interno vi è stata parecchia scuola. L’asilo, le elementari, le medie, la scuola di commercio, il college, l’università e altri corsi specialistici (e formazione continua). Col senno di poi, mi chiedo a cosa siano però serviti tutti questi corsi, e tutta questa scuola, visto che molto, anzi moltissimo… se non tutto… ciò che faccio oggi deriva da un percorso di apprendimento auto-diretto. Forse, ecco, l’abilità o competenza migliore che l’educazione tradizionale mi ha insegnato, al tempo in cui frequentavo i corsi volti all’ottenimento del titolo MBA, è raffinare le mie doti e capacità nella ricerca. Per il resto, non mi sento di poter affermare che il percorso di studi tradizionale mi sia servito ad altro, o che i vari titoli di studio mi siano stati in qualche modo utili nella vita professionale.

Oggi viviamo in una società che sopravvaluta diplomi e certificati. Se non hai un certificato o un diploma sei considerato insignificante, ma alla fine che cosa dimostra un certificato? In molti casi, niente. Una percentuale elevata di ragazzi (35%) ritiene addirittura che la propria esperienza universitaria sia stata uno spreco di tempo e soldi, e più della metà hanno dichiarato di non aver appreso nulla di utile (Wilson Quarterly, 2006).

Il problema di fondo è che ancora oggi pensiamo che i bambini siano un recipiente vuoto da riempire con le nozioni della cultura dominante e che debba per forza esserci qualcuno che insegna ai bambini, che altrimenti non sono in grado di apprendere da soli. Eppure, a parlare imparano da soli, e lo fanno perfettamente. Perché questo non sarebbe possibile con tutto il resto? Perché non possono essere responsabili della loro educazione? Se andiamo a vedere la biografia di Benjamin Franklin, scopriamo che il suo prestigioso curriculum lo ha delineato egli medesimo. E questo non è un caso sporadico ed eccezionale, ma sarebbe la norma se ai bambini fosse permesso di apprendere in modo naturale, secondo i loro interessi, i loro tempi, i loro modi.

I bambini sono unici, non standard, e vengono al mondo ognuno coi suoi doni e talenti, ma l’economia industrializzata non ha bisogno di persone che realizzano il loro potenziale. Servono lavoratori che sanno eseguire gli ordini, e sono istruiti a farlo dal primo anno di scuola. Eppure, se ci pensiamo, un bambino di 4-6 anni è splendidamente creativo, curioso ed ha una innata capacità di apprendere… e un potenziale immenso. E noi che cosa facciamo? Lo obblighiamo a stare seduto per lunghe ore e gli diciamo che non deve muoversi, che non deve disturbare, che non può avere le sue idee, che l’iniziativa personale non è ben vista, che non può essere indipendente, che non può prendere delle decisioni, che non può essere lui il responsabile della sua educazione, che non può seguire i suoi interessi e le sue passioni, e che deve semplicemente obbedire e imparare (spesso a memoria) tutto ciò che gli viene detto. E poi ci chiediamo perché ai bambini la scuola non piace? (senza dimenticare, poi, che la nuova economia non premia più obbedienza e docile remissività…).

Ci sono diversi problemi con la scuola, che non è per niente allineata alle richieste di questa nuova economia… e moltissimi parlano di riformarla. Nessuno dice però che bisogna partire da premesse diverse. Di base, si continua a pensare che i bambini devono essere diretti e seguire l’autorità, e che i maestri (o gli esperti) sappiano meglio dei bambini cosa bisogna apprendere e come. Qualcuno decide che i bambini devono apprendere questo o quello (un certo set di competenze e skills) e il tutto viene frammentato e dato in pasto ai bambini, che devono ingurgitare le informazioni richieste e impararle in modo superficiale per poter passare dei test (queste informazioni vengono poi subito dimenticate perché non hanno significato per i bambini). Con le conoscenze che abbiamo a disposizione oggi sappiamo però che questo tipo di insegnamento interferisce con il modo di apprendere naturale dei bambini, e ne soffoca la creatività (qualità innata nell’essere umano, e basilare per avere successo nella nuova economia). Il cambio di paradigma implica invece seguire il bambino, e abbandonare l’idea che debbano essere gli adulti i responsabili della sua educazione.

Lo sappiamo: il naturale processo di apprendimento viene sistematicamente ostacolato da modelli educativi obsoleti. Bisogna dunque avere il coraggio di dirlo: le scuole come le conosciamo oggi non avranno spazio in futuro. Siamo stati condizionati a pensare che scuola sia sinonimo di educazione, ma in realtà ogni bambino viene al mondo biologicamente programmato per educare e realizzare se stesso. Seymour Papert (dei laboratori di intelligenza artificiale del MIT) è stato molto chiaro su questo punto, dicendo che tutto ciò che c’è da apprendere può essere appreso così come il bambino impara a parlare, in modo indolore, con successo e senza un’istruzione formale “organizzata”.

Questo significa letteralmente minare l’ideologia alla base del nostro sistema scolastico. Per questo motivo le riforme non servono, per il semplice fatto che cercano di abbellire il sistema, senza mai metterne in discussione le fondamenta. Semmai, è una rivoluzione che serve. L’intero sistema deve cambiare, ma questo non è possibile finché sin continua a portare avanti quella vecchia mentalità che privilegia lo status quo, e che trae profitto dalla scuola così com’è, o da “più scuola!”.

AUTO-REALIZZAZIONE… E AUTO-FORMAZIONE

Ognuno di noi viene al mondo per un’intenzione — per necessità di vocazione. Ciascuna persona nasce portando con sé i suoi doni e talenti, che però (e purtroppo!) per molti rimangono inespressi in quanto, educati a essere conformi alle aspettative di terzi, trascorrono la l’intera esistenza senza neanche più chiedersi cosa è per loro importante, confondendo la volontà altrui come propria.

Nel modello educativo tradizionale c’è qualcosa di profondamente distorto. I numeri parlano chiaro: globalmente, nove persone su dieci non trovano un senso in ciò che fanno, che è come dire che vivono una vita insensata (State of the Global Workplace report, 2013 e 2017); e il rimpianto più comune delle persone in punto di morte è di non aver avuto il coraggio di vivere la vita che veramente volevano, ma di essere invece scese a compromesso con le aspettative degli altri.

La scuola rientra perfettamente in questi parametri e i giovani comprendono che la scuola non è per loro, e non ha niente a che vedere con i loro sogni, con i loro interessi, con le loro curiosità, con il loro futuro, ma è interamente costruita attorno ai desideri e gli interessi di qualcun altro. Gli anni che corrispondono al periodo della scuola dell’obbligo dovrebbero essere quelli dove un bambino/ragazzo scopre se stesso: chi è e cosa vuole veramente. È inoltre fondamentale che abbia tutto il tempo e lo spazio per giocare liberamente con altri, in modo tale da sviluppare tutte quelle abilità e competenze che gli serviranno nella sua vita (che spaziano dalle abilità fisiche alle competenze sociali/emotive et cetera), e che possa dedicarsi ai suoi interessi e apprendere in base a questi. E tutto questo ha a che vedere con l’auto-apprendimento che, come ha sottolineato il Prof. Gian Piero Quaglino, è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca, e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che qualcos’altro che gli viene imposto da terzi.

Insomma, la realizzazione del proprio potenziale richiede un tipo di educazione diversa, un modo diverso di crescere e sviluppare le proprie competenze. Riflettiamo: i bambini hanno un naturale bisogno di muoversi… ma noi li costringiamo a stare per ore seduti… pur sapendo che fisicamente questo non è un bene. La stessa cosa facciamo con tutto il resto, impedendo loro di crescere e svilupparsi in modo naturale.

Li depriviamo della libertà che essi bramano. Pensiamo che detestino la scuola (anzi, in realtà siamo arrivati a pensare che detestino l'educazione, ma non è così... è solo la scuola che detestano) e che noi li dobbiamo in qualche modo motivare, ma stiamo sbagliando tutto. I bambini si motivano da soli, e usano il il tempo che hanno a loro disposizione per educare se stessi… ma noi questo non lo permettiamo, gestendo tutto il loro tempo al posto loro.

Come per qualsiasi essere umano, i bambini odiano che la loro libertà sia limitata. In questo modo non posso più giocare e esplorare il mondo, non possono più apprendere e crescere naturalmente verso la loro autonomia e indipendenza… e auto-realizzazione! La scuola è infatti come una prigione dove ai bambini viene detto che non possono più seguire i loro interessi ma devono fare ciò che gli viene detto. Devono eseguire gli ordini. Questo è altamente limitante per le potenzialità di un individuo.

L’educazione di massa non è nata per supportare i bambini a realizzare il loro potenziale, ma piuttosto come progetto di ingegneria sociale che ha come fine il controllo scientifico della popolazione (in linea con l’organizzazione scientifica del lavoro sulle basi dell’economia industrializzata). Lo scopo non è cambiato, e la scuola è altamente limitante sotto tutti questi aspetti e continua a formare i ragazzi per essere impiegati e consumatori, piuttosto che leader e imprenditori. Insegna ai giovani che devono aspettare il loro turno, e di essere scelti, quando invece oggi ciò che serve è il coraggio di osare.

Dopo trent’anni di esperienza come docente nelle scuole pubbliche, John T. Gatto lo ha detto molto chiaramente: "il genio nei bambini è qualcosa di molto comune ma noi lo sopprimiamo perché non sappiamo ancora come gestire una popolazione di uomini e donne veramente istruiti." La soluzione di Gatto? Molto semplice: “lasciate che si gestiscano da soli!”

Dunque, abbiamo davvero bisogno di più scuola?

Mh.

“Abbiamo tutti bisogno di esperienze, avventure, esplorazione più di quanto abbiamo bisogno dell’algebra.” John T. Gatto

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).

Photo credit: Kelly Tungay on unsplash

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