Scuola obbligatoria fino a 18 anni? Una pessima idea

educazione formazione Feb 23, 2019

Ultimamente si parla di estendere fino ai 18 anni l’obbligatorietà scolastica. Il Direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) Manuele Bertoli ha infatti proposto di posticipare di tre anni la formazione obbligatoria, e questo, a detta sua, per combattere il fenomeno di quei ragazzi che rimangono a casa, tagliati fuori dal mondo del lavoro, non avendo ottenuto un titolo di studio o professionale (maturità federale, maturità professionale, maturità specializzata, attestato federale di capacità, certificato professionale federale).

Facendo riferimento ai cosiddetti NEET, ovvero “not (engaged) in education, employment or training” (in italiano anche né-né): giovani che non sono impegnati nello studio, né nel lavoro né nella formazione, i media locali sottolineano che, in Ticino, l’88% dei giovani possiede un titolo di studio post-obbligatorio, in Svizzera 90% e l’obiettivo sarebbe quello di portarli al 95% entro il venticinquesimo anno di età (fonte).

Questa proposta segue l’esempio di Ginevra, che spera così di diminuire il numero di ragazzi che interrompe la formazione prima del conseguimento di un diploma, che sono fra il 10 e il 15% dei giovani: circa un migliaio nel cantone romando, di cui 550 minorenni (fonte). In Ticino, la percentuale di ragazzi che non ottengono un diploma si situa attorno al 12% e si parla di un “forte rischio di drop-out dal sistema”: ogni anno sono circa 200 i giovani che abbandonano il sistema formativo non appena terminata la scuola dell’obbligo.

Bertoli sostiene che l’obbligo di studio fino a 18 anni è una soluzione anche per il Canton Ticino dove, sempre secondo il Consigliere di Stato, “la richiesta di maggior formazione professionale è data anche dalla concorrenza generata dalla presenza di manodopera estera”. In più, aggiunge che ciò aiuterebbe anche i ragazzi, in modo tale che non debbano decidere a 15 anni cosa fare della propria vita, precisando che “Non si tratta di mandarli per forza a scuola, ma di non permettere loro di rimanere a casa, annoiati sul divano o persi nei social media, solo perché qualcosa non ha funzionato nel percorso post-obbligatorio, di studio o di apprendistato” (fonte).

A quanto pare, questa proposta ha già ottenuto un ampio consenso, ma francamente non credo proprio che la soluzione ai problemi sia “più scuola!” A tal proposito, è risaputo che molti ragazzi non amano particolarmente la scuola dell’obbligo, ma questo non vuol certamente dire che siano contro l’educazione, in generale. Anzi, è interessante notare che da alcune recenti ricerche condotte su degli adulti “descolarizzati” emerge che i ragazzi che hanno frequentato meno la scuola dell’obbligo (o non del tutto) sono più propensi a iscriversi al college e all’università, se paragonati ai loro coetanei che hanno frequentato le scuole per più anni (fonte, fonte).

Dagli articoli che ho letto sulla proposta del DECS traspare che i giovani che non intendono continuare la formazione siano degli scansafatiche, e questo è purtroppo comune nella nostra società dove ancora pensiamo che sia un diploma o una laurea a stabilire il valore, l'impegno, l'intelligenza. Eppure, nessuno pare sia andato a chiedere ai diretti interessati quali siano le loro motivazioni. E quali i problemi?

Oggi, come ci rivela uno studio su larga scala, i ragazzi sono molto meno felici a scuola rispetto a qualsiasi altro contesto in cui si trovano regolarmente (fonte) e problematiche come stress e burn-out sono notevolmente aumentate fra i banchi di scuola nel corso degli ultimi anni, anche qui in Svizzera: quasi tutti gli undicenni risentono in qualche modo delle conseguenze di stress e ansia da prestazione e un terzo degli allievi delle scuole è stressato a tal punto da soffrire di sintomi tipici della sindrome di burn-out (fonte).

E la soluzione sarebbe “più scuola!”?

E se invece il problema fosse proprio questo? E se ne servisse di meno? A 15 anni, e qui parlo anche per esperienza personale, i ragazzi non hanno la benché minima idea di cosa fare nella loro vita non perché sono troppo giovani ma perché rimangono immaturi a causa del fatto che sono stati letteralmente deprivati di tutto il tempo che serviva loro per scoprire chi sono e cosa veramente vogliono, fare esperienza di se stessi e inseguire i propri interessi.

Nelle scuole i bambini vengono addestrati a seguire gli ordini (il focus dell'educazione industriale è sempre stato questo, in fondo). Già dalla scuola elementare, quando il bambino si trova davanti un orizzonte pieno di possibilità e l’ideale sarebbe poter sviluppare i suoi doni e talenti e seguire naturalmente i propri interessi, l’elemento principale con cui viene confrontato è il limite: non fare questo, non fare quello, non correre, non parlare, non andare in bagno senza chiedere il permesso (e talvolta si chiede di aspettare la campanella), non muoverti dalla sedia… et cetera. È tutto un “non”. Non puoi avere le tue idee personali, non è cosa buona l’iniziativa personale, non puoi essere indipendente, non puoi fare le tue scelte e soprattutto non sei tu responsabile del tuo apprendimento e della tua educazione. Questo è il messaggio che passa attraverso l'istruzione scolastica.

Il principio di base è che bisogna seguire non se stessi, ma qualcun altro.

Erroneamente, pensiamo che sia a scuola che i ragazzi possono realizzare se stessi (in questo caso, dovrebbero però seguire se stessi...), attraverso la memorizzazione di dati spesso triviali, e ottenendo un qualche diploma ma in realtà non è così. Non è attraverso l’esercizio della memoria che una persona potrà mai realizzare il suo potenziale, e neppure sviluppare un pensiero critico e indipendente.

Inoltre, dobbiamo ricordarci che ogni singolo bambino (noi tutti, nessuno escluso!) viene al mondo per necessità di vocazione, ma anche qui, non è stando rinchiusi in classe tutto il giorno che si scopre la propria missione nella vita. Lo ha espresso egregiamente lo psicologo statunitense James Hillman, in questi termini: “In molti casi, non è stato a scuola ma in attività al di fuori dai programmi scolastici che si è fatta sentire la chiamata. È come se l’immagine del cuore fosse ostacolata dall’istruzione della scuola con i suoi programmi e la sua regolare scansione del tempo.”

Noi dovremmo oggi partire da una premessa molto chiara. Ovvero, che l’essere umano nasce biologicamente programmato per educare e realizzare se stesso (non siamo un recipiente vuoto da riempire con le nozioni della cultura dominante, come erroneamente si credeva in un passato non troppo remoto), ma questo ovviamente richiede del tempo.

Come ha scritto il Professor Peter Grey, il gioco e l’esplorazione sono alla base della nostra evoluzione ed è indispensabile avere a propria disposizione il tempo necessario (non strutturato) per fare ciò che si vuole fare, senza pressioni o interferenze da parte di figure di autorità. “Quel tempo”, continua il ricercatore statunitense, “è necessario per fare amicizia, giocare con idee e materiali, fare esperienze e superare la noia, imparare dai propri errori e sviluppare passioni.”

Questo però oggi non accade perché vi sono continue interferenze da parte del mondo adulto, ai giovani non è permesso di essere liberamente ciò che sono e di tempo libero non ne hanno più; oltre il fatto che vi è sempre “più scuola!”, anche tutte le attività extra-scolastiche dei ragazzi sono organizzate dagli adulti. Non meraviglia, dunque, che a 15 anni non sappiano cosa fare e non abbiano una direzione ben precisa. Questo non è però un problema legato all’età, visto che molti non ce l’hanno neppure a 30/50/70 ma piuttosto al mondo in cui si viene cresciuti.

Dalle ricerche condotte dalla società Gallup a livello globale (State of the Global Workplace report, studio condotto in 143 paesi nel 2013 e in 155 nel 2017) emerge che 9 persone su 10 non trovano un senso in ciò che fanno… e questo dovrà pur far riflettere... Ciò significa che tutte queste persone non hanno per mestiere la propria passione, che non stanno facendo ciò che sono chiamati a compiere e realizzare. In buona sostanza, non stanno occupando il loro spazio nel mondo e questo è alla base di tutta una varietà di problemi di natura psicologica e sociale: nessuno è chi sarebbe diventato se non fosse stato educato a vivere la volontà altrui come propria.

Il lavoro, va detto, è una componente molto importante della vita di noi tutti e passiamo circa il 35% della nostra vita adulta (circa 100’000 ore secondo Revise Sociology 2016) lavorando… e se quel che facciamo non è per noi importante e significativo… anche tutte le altre aree della nostra vita ne verranno influenzate negativamente.

Vista la situazione attuale, aggiungendo tre anni di scuola dell’obbligo le cose non cambieranno (in meglio, intendo), in quanto la soluzione del problema non è “più scuola!”. Anche qui, il Dr. Grey propone un’interessante analogia fra scuola e medicamenti: “Oggi si pensa infatti che il successo sia intimamente relazionato all’istruzione scolastica (anche se, in realtà, tutti coloro he hanno raggiunto uno straordinario successo non lo hanno rapportato alla scuola…). Proprio come una medicina, [la scuola] potrebbe magari non essere piacevole ma è considerata un mezzo necessario per superare una certa malattia, in questo caso la malattia dell’ignoranza. Inoltre, sembra anche esserci il presupposto che per quanto riguarda questa specifica medicina, più è sempre meglio! In altre parole, se una certa quantità di istruzioni non produce i risultati desiderati, la soluzione che si propone è quella di fornirne di più e ciecamente, continuano su questa pista, con poca riflessione sui possibili effetti dannosi del sovradosaggio.”

Come detto, è comune credere che educazione e scuola siano la stessa cosa, e che coloro che non seguono un percorso tradizionale rimangano in qualche modo illetterati, analfabeti. Si pensa inoltre che il successo nella nostra cultura sia determinato dall’istruzione e anche per questo motivo si tende all’aumento. Ma è davvero così? In realtà ci sono moltissimi esempi di persone che hanno raggiunto uno straordinario successo e che sono state protagoniste di imprese leggendarie, e di scuola ne hanno vista poca… ma non per questo non avevano un alto livello di educazione. Insomma, “descolarizzato” non è sinonimo di ignorante.

Pensiamo a GEORGE WASHINGTON, divenuto 1º Presidente degli Stati Uniti d’America e considerato uno dei grandi padri fondatori della nazione; a BENJAMIN FRANKLIN, noto scienziato e politico statunitense; oppure a ABRAHAM LINCOLN, 16º Presidente USA. Nessuno dei tre ha frequentato molto la scuola, e si sono perlopiù auto-educati con il supporto di libri e interessanti conversazioni.

Okay, qualcuno potrebbe anche dire che si trattava di altri tempi (è comunque peculiare notare che negli USA il tasso di analfabetismo era minore allora, ed è nettamente peggiorato nel corso degli anni a partire da quando la scuola pubblica è ufficialmente nata nel XIX secolo); ma senza andare indietro di centinaia di anni la stessa cosa hanno fatto personaggi molto influenti come ANDREW CARNEGIE e JOHN D. ROCKEFELLER per menzionarne un paio di quelli che nel secolo scorso hanno largamente contribuito a creare la società in cui oggi viviamo e lavoriamo.

Nel suo libro Weapons of Mass Instructions, John Taylor Gatto ne cita molti altri, come ad esempio: NICK SCHULMAN, che ha lasciato la scuola per giocare a poker e ha poi scelto di riprendere gli studi (istruzione superiore) più in là nel tempo, dopo aver vinto due milioni di dollari; DIABLO CODY, che ha abbandonato gli studi per fare la stripper, e dopo aver creato un blog porno di successo (The Pussy Ranch) che l’ha portata alla pubblicazione del suo libro (Candy Girl: memorie di una ragazzaccia per bene) e poi a curare lo script di Juno, ottenendo il premio Oscar 2008 (guarda qui) e una candidatura Golden Globe; RICHARD BRANSON, noto imprenditore britannico e fondatore di Virgin Group, anch’egli drop-out; INGVAR KAMPRAD, imprenditore svedese diagnosticato come dislessico ai tempi della scuola e diventato poi il fondatore di IKEA dopo aver iniziato a vendere pesce e senza alcun diploma!

Ecco, purtroppo oggi consideriamo i cosiddetti drop-out come un fallimento… e chi, per un motivo o per l’altro, sceglie di non continuare gli studi viene ridicolizzato, umiliato e considerato come un nullafacente, quando invece bisognerebbe supportare questi ragazzi a scoprire (se ancora non lo sanno) e realizzare ciò che veramente vogliono in altri modi, ma senza giocoforza mettere in campo la coercizione, che non è mai una buona soluzione ai problemi, né tantomeno obbligandoli a frequentare la scuola fino al giorno in cui diventeranno maggiorenni. Mi sembra quasi di sentire la voce di qualche genitore vecchio stampo, che dice alla figlia o al figlio “Non uscirai di casa fino a 18 anni!”

Oltre a ciò, vi sono anche moltissime altre persone di successo che non erano esattamente i tipi da “Livello A” a scuola. Pensiamo a CRAIG VENTER, biologo noto per aver sfidato il Progetto Genoma Umano nella corsa al sequenziamento del genoma, che al college prendeva tutte “D” e “F”; a GARY VAYNERCHUCK, noto “imprenditore seriale” americano, anche lui “F student” (parole sue)… oppure FRANKLIN D. ROOSVELT, C in High School e C al College; GEORGE W. BUSH e JOHN KERRY, C anche per loro due. E se per questo, niente college per BILL GATES e PAUL ALLEN di Microsoft, e neppure per STEVE JOBS e STEVE WOZNIAK di Apple.

Ci sono davvero tantissime storie di successo. Frankenstein, ad esempio, è un’opera scritta duecento anni fa e studiata ancora oggi come un capolavoro della letteratura, e che dire dell’educazione della sua autrice MARY SHELLEY? A quell’epoca c’erano sicuramente molti altri problemi, ma la scuola dell’obbligo fino a 18 anni non era fra questi.

E WILLIAM SHAKESPEARE? Vogliamo parlarne? Insomma, tanti successi… e poca scuola! Questo per dire che non è solamente attraverso la scuola che si ottiene il successo. Anzi, è davvero molto raro che qualsiasi persona molto creativa che abbia raggiunto qualsivoglia risultato nella vita dia il merito del proprio successo all’istruzione scolastica.

Al contrario, è ampiamente dimostrato che la scuola uccide la creatività. Ogni bambino viene al mondo con uno straordinario potenziale, con una creatività innata, che viene letteralmente soffocata dai metodi di insegnamento tradizionale, che si focalizzano perlopiù sulla logica e quelle aree del cervello razionali, a scapito delle parte più creativa e intuitiva. Da tutti gli esempi citati (e ce ne sono parecchi altri) traspare che l’educazione che porta al successo e alla (auto) realizzazione non ha niente a che vedere con la scuola così com’è oggi impostata, ma è piuttosto auto-diretta. In fondo, come ha affermato il Professore di psicologia all’Università di Torino Gian Piero Quaglino, l’auto-apprendimento è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca (e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che altro che ciò che gli viene imposto da terzi).

Perciò, io credo che la soluzione non sia quella di obbligare i ragazzi ad andare a scuola per più anni. La soluzione non è “più scuola!” e come abbiamo visto si può benissimo avere successo anche senza un diploma (e attenzione, qui non sto dicendo che non bisogna formarsi, ma semplicemente che educazione e scuola sono due cose diverse, e che il semplice fatto di non essere andati a scuola o non essere stati brillanti per quanto riguarda le note ricevute durante l’istruzione formale non significa assolutamente non essere colti e neppure non vantare un’educazione di alto livello).

Per quanto riguarda l’obbligo di andare a scuola fino a 18 anni, la Consigliera di Stato ginevrina Anne Emery-Torracinta, ha ribadito che “Avoir une formation n’est pas une garantie d'une insertion socio-professionnelle, mais ne pas en avoir implique quatre fois plus de risques d’être au chômage”; ovvero, che “per un giovane senza un attestato il rischio di trovarsi in disoccupazione è quattro volte superiore rispetto a un coetaneo diplomato” ma io credo che oggi questo non corrisponda esattamente alla realtà di questa nuova era.

L’economia è infatti mutata radicalmente, mentre la scuola è rimasta quella di sempre. Il sistema educativo attuale è certamente perfetto per ciò che è stato progettato ai suoi albori, con la sua forte propensione per la standardizzazione, i test, l’efficienza della fabbrica… ma oggi nelle fabbriche ci lavorano i robot e sempre meno persone fanno e faranno lavori che possono essere automatizzati (e stiamo parlando di tutti i lavori in cui si utilizza un codice che le macchine possono imparare). E poi, secondo la mentalità industriale, se qualcuno può fare il tuo stesso lavoro a un costo minore, uomo o macchina che sia, ben presto la sostituzione sarà una certezza. Dunque, o sei assolutamente indispensabile, o il lavoro te lo devi creare tu.

Purtroppo, dopo anni e anni di studio molto ragazzi si ritrovano catapultati in un mondo nuovo, a loro sconosciuto, che non corrisponde a ciò che hanno studiato a memoria sui libri di testo. Le teorie dei libri si scontrano con una realtà ben diversa. Tutto sta cambiando molto velocemente a livello sociale, politico, economico. Nei prossimi anni verremo letteralmente investiti da uno tsunami tecnologico e molti giovani stanno purtroppo studiando per dei lavori che presto non ci saranno più (e di questo bisogna tener conto per non sprecare anni della propria vita inutilmente). A quel punto cosa faranno con il loro bel diploma? (molte aziende non basano neppure più i loro criteri di assunzione in base ai diplomi. Vedi Google, ad esempio).

Ci sono molti aspetti da prendere in considerazione, e uno fra questi è che la scuola non è stata creata per sviluppare le potenzialità nell’individuo. È stata create per far sì che tu (studente) impari ad aspettare i tuo turno, che aspetti di essere scelto. Oggi invece le cose non stanno più così, ed è assolutamente fondamentale comprendere che l’unico permesso che la società potrà mai darci è quello di seguire le sue regole e tradizioni, e che il turno di ognuno di noi è adesso… e perciò è di vitale importanza scegliere se stessi... seguire se stessi.

Per quanto concerne la scuola, molti parlano di riforme, ma in verità quel che serve è una rivoluzione. La differenza fra riforma e rivoluzione è molto semplice: nel primo caso si tratta di abbellire un po’ una certa struttura, strizzando l’occhiolino ai principi fondamentali su cui la stessa si basa; mentre la rivoluzione è un cambiamento radicale. La tecnologia ha fatto (e sta facendo) passi da gigante. Vi è stata una vera e propria rivoluzione nel modo in cui comunichiamo, la più epocale dai tempi dell’introduzione della stampa a caratteri mobili cinquecento anni fa. Tutto sta cambiando a una velocità impressionante e nuove turbolenze economiche sono all’orizzonte. Nel giro dei prossimi quindici anni circa il 50% dei lavori che conosciamo oggi saranno a rischio a causa dell’effetto dell’automazione sull’occupazione; e 65% dei bambini che iniziano oggi le elementari faranno un lavoro che ancora non esiste, usando tecnologie che ancora non conosciamo.

L’economia è mutata radicalmente. Siamo nell'era dell'immaginazione, dove la creatività è considerata la qualità di leadership più importante. La 4a Rivoluzione Industriale è oggi una realtà, mentre la scuola è ferma al punto di partenza: a rispondere ai fabbisogni sì industriali… di un secolo fa… e noi qui ancora a discutere su temi come questo o sul vietare o meno lo smartphone e il tablet nelle aule.

Un po’ da dinosauri (o primitivi digitali), no?

E poi, non va neppure scordato che il nostro sistema educativo non è un prodotto della ragione, e neppure della conoscenza scientifica su come i bambini apprendono, ma del nostro passato: della storia. Le scuole sono nate per servire fini religiosi e politici, e il sistema educativo che conosciamo è stato deliberatamente progettato fra il XVIII e XIX secolo con il fine dell’addestramento all’obbedienza e indottrinamento. Non per altro. (fonte)

Bisogna avere il coraggio di dirlo: le scuole come le conosciamo oggi non avranno spazio nel futuro. Seymour Papert (dei laboratori di intelligenza artificiale MIT) è stato molto chiaro su questo punto, dicendo che tutto ciò che c’è da apprendere può essere appreso come il bambino impara a parlare, in modo indolore, con successo e senza un’istruzione formale “organizzata”.

Riferendosi al nipote, il matematico americano ha poi aggiunto che oggi i ragazzi possono trovare le informazioni di cui hanno necessità molto facilmente online, e possono anche entrare in contatto con altre persone così come con dei docenti, non perché scelti dallo Stato, ma perché vi sono dei network di connessione relazionati ai loro interessi, a ciò che vogliono veramente, e per questo motivo non resteranno a lungo seduti nelle scuole a ricevere delle informazioni in modo passivo da un maestro che propone loro dei contenuti preconfezionati. Si rivolteranno, a detta sua, e questo lo penso anch’io.

Siamo sinceri, il sistema scolastico che conosciamo tutti non è più allineato ai bisogni di questa nuova economia e non è neanche più a contatto con la realtà se per questo. La scuola dell’obbligo non insegna ai bambini a pensare, ma a cosa pensare. È strutturata per partorire impiegati/operai e consumatori; non delle persone creative, non imprenditori, non leader.

Estendendo l’obbligo di formazione ma non modificando i principi fondamentali alla base del sistema non porterà a dei cambiamenti di rilievo. Ci si preoccupa che i ragazzi senza un diploma facciano poi fatica a trovare un impiego, finiscano nel giogo della disoccupazione e poi dell'assistenza sociale, ma che dire dei tanti laureati nella medesima situazione?

Questa nuova economia non premia più obbedienza e docile remissività. Ha portato con sé molta destabilizzazione, questo è certo, ma anche tantissime nuove opportunità. Coraggio, audacia, motivazione, creatività, immaginazione, volontà, iniziativa, determinazione, leadership sono ciò che serve oggi… e queste sono tutte qualità sistematicamente soffocate dal sistema scolastico tradizionale.

Le forze del cambiamento e della globalizzazione stanno rivoluzionando tutto, e per essere al passo con i tempi è importante comprendere che la realizzazione del proprio potenziale richiede un’educazione diversa — un modo diverso di crescere. Come diceva John Holt, “Il modello di fabbrica in stile one-size-fits-all è un uso inefficace del tempo dei bambini perché richiede a ogni bambino di apprendere argomenti specifici in modo particolare, a un ritmo particolare e in un momento specifico, indipendentemente dalle esigenze attuali, future, dagli obiettivi o dalle conoscenze preesistenti che l’individuo potrebbe avere sull’argomento.” E questo, è altamente limitante.

L’auto-formazione o auto-apprendimento è la chiave dell’educazione moderna. È un abito fatto su misura che vanta uno standard molto più elevato in paragone a un’istruzione che spinge verso il conformismo e la standardizazione dell’individuo. E qui non dobbiamo neppure dimenticare che standard elevati e di qualità e standardizzazione non sono per niente sinonimi, come speso invece siamo stati credere. Sinora, abbiamo spinto i nostri ragazzi a seguire una falsa pista. La stessa che molti di noi hanno seguito. Abbiamo detto loro che devono studiare sodo per ottenere un buon diploma, così potranno avere un posto fisso fino alla pensione e dopo aver fatto il loro dovere godersi la libertà. Queste sono le idee che sono state inculcate in testa ai nostri nonni, ai nostri genitori, e come detto a molti di noi. I tempi sono però cambiati, e conformarsi alle aspettative e agli standard degli altri e della società è la ricetta perfetta per andare incontro a grossi rimpianti (e il rimpianto più comune delle persone in punto di morte è proprio quello di non aver fatto ciò che veramente volevano, ma di essere scesi a compromesso con le aspettative degli altri).

Siamo in una nuova economia e continuare a fare quel che facevamo ieri (anzi, aggiungendo più di ciò che facevamo ieri) non ci porterà neanche più agli stessi risultati. Siamo di fronte a un periodo di grandi cambiamenti e transizione e aggrapparsi con le unghie allo status quo, e rimanere fermi sulle barricate dei vecchi modi di fare e pensare non ci sarà di aiuto.

È la nostra mentalità che va cambiata.

Per noi tutti, studenti e lavoratori (si stima che entro il 2022 il 54% dei lavoratori necessiterà una riqualificazione) credo che sia molto importante ricordare che lo script della nostra vita lo possiamo scrivere noi, e che, come ha detto qualcuno, se non lo facciamo ci penserà qualcun altro. Così è, e allo stato attuale delle cose l’obbligo a 18 anni contribuisce largamente a far sì che i registi non siano i diretti interessati.

Per concludere, credo che sia molto utile riflettere su un quesito posto da John Taylor Gatto, il quale ha esercitato la professione di docente per una trentina d’anni e ricevuto anche dei premi come NY State Best Teacher of the Year: “Più scuola viene offerta da leader politici e funzionari aziendali come la soluzione alla crescente incoerenza sociale e altri problemi come la mancanza di obiettivi, l’incompetenza, et cetera. Ma se meno scuola ha contribuito a causare tutte queste cose, come può più scuola aggiustarle?"

 

 

 

L'unica certezza è il cambiamento, e nella caotica complessità del mondo moderno è alquanto facile distrarsi, perdersi e lasciarsi sfuggire le opportunità di realizzazione che questa nuova economia offre. Per questo motivo, è davvero importantissimo essere molto chiari su quel che si vuole, raffinare le proprie doti di leadership e creare la propria realtà di vita attorno alle proprie priorità per realizzare chi si è e ciò che si vuole veramente fare — il proprio vero scopo. Il fine di questo libro è proprio quello di supportarti in questa impresa (leggi l’estratto del libro su questo link).


Photo by Ye Jinghan on unsplash


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