Siamo nel futuro ma la scuola è rimasta nel 1900

educazione formazione genitorialità consapevole leadership Sep 02, 2019

Arrivò il giorno tanto desiderato di andare a scuola. Il mio buon papà mi chiamò a sé, e mettendomi la mano sul capo, mi disse: “Oggi, dunque, tu vai alla scuola,: ricordati di starvi tranquillo e di studiare bene le tue lezioni. “Ama i tuoi compagni come fratelli, e il tuo signor maestro come me, perché egli ti farà da padre in vece mia. “Così crescerai un bravo figliuolo e consolerai me e tua madre. “Noi ti benediremo e anche il Signore.” Io non dimenticherò mai queste belle parole. Poscia il papà m’accompagnò alla scuola. Vi entrai con gioia e insieme con un po’ di timore. Salutammo il signor maestro, che mi accolse amorevolmente, m’accarezzò, e mi domandò il mio nome. Mio padre mi raccomandò caldamente a lui ed il signor maestro promise che mi avrebbe trattato come un figlio. Quelle parole mi tolsero la soggezione; capii subito che il signor maestro era proprio buono e mi proposi di non dargli mai nessun dispiacere.” (Io vado a scuola, Il libro di lettura delle elementari ticinesi, 1900)

Leggendo questo testo nelle prime pagine del libro di lettura per le scuole elementari ticinesi maschili, femminili e miste (approvato dal Dipartimento di Pubblica Educazione, 1900) mi sono venute in mente le parole di John T. Gatto, docente dalla trentennale esperienza e Two-Time New York State Teacher of the Year, il quale in un suo scritto evidenziava quanto è assurdo che siamo parecchio restii a lasciare le chiavi della nostra auto o il nostro televisore nelle mani di un estraneo, o anche di un conoscente se per questo, mentre per quanto riguarda i nostri figli ci fidiamo ciecamente... (tanto che il maestro farà le nostre veci?).

Beh, in fondo, la scuola esiste da qualche tempo...

L’hanno frequentata i nostri nonni, i nostri genitori, noi… e tutto ci sembra normale.

Normalissimo.

Come conseguenza, diamo tutto per scontato. Non ci poniamo troppe domande. Pensiamo che questa sia l’educazione, che è così che i bambini devono essere educati e che bisogna andare a scuola per diventare colti (è interessante notare che il significato di questo termine riporta anche all’agricoltura: “coltivato”).

In realtà qualche domanda sarebbe opportuno porcela.

In antitesi con l’opinione comune – e con buona pace di educatori e pedagogisti – io credo che oggi ciò che più limita il nostro progresso e la nostra evoluzione sia proprio l’educazione. Veniamo alla luce con un potenziale straordinario e tutte le capacità di realizzare noi stessi, ma veniamo educati a essere qualcuno che non siamo. Addomesticati a essere vittime, non leader.

A prima vista potrebbe sembrare assurdo, ma l’educazione che consideriamo normale e necessaria è stata largamente influenzata da un’ideologia pedagogica distorta, volta a storpiare il bambino e impedire lo sviluppo delle sue naturali doti di leadership.

In altre parole: leader si nasce, ma poi veniamo educati a non esserlo.

Il sistema scolastico non è stato ideato per sviluppare le potenzialità dell’individuo, ma per trasformare i bambini in lavoratori a basso costo e obbedienti (e consumatori psichicamente schiavizzati) che avrebbero lavorato bene nel sistema (leggi qui).

Già nel XVII secolo, si parlava di riformare il genere umano. Queste le parole di Johann Balthasar Schupp “Coloro che intendono abbattere una vecchia quercia agirebbero da folli se potassero le cime dei rami più alti: i più ragionevoli darebbero di ascia sulle radici. Ma allora rivolgo a Sua Maestà e a tutta quanta l’Assemblea quest’unico giudizio saggio ed estremamente ragionevole: non sarebbe più opportuno cominciare questa riforma del genere umano, che ora abbiamo in progetto, dall’allevamento dei bambini e dalle scuole, considerati come il giusto fondamento sul quale poggiare la natura umana e la vita umana? Se avessimo ovunque scuole ben attrezzate, dove i giovani ricevessero i giusti insegnamenti, nel giro di vent’anni avremmo un mondo nuovo e non avremmo più bisogno né di sbirri né di carnefici.” (Nel giro di vent’anni un mondo nuovo grazie all’educazione, 1667. Tratto dal libro Pedagogia nera di K. Rutschky)

Oggi educazione e scuola sono considerati sinonimi, e vi è la forte tendenza a credere che chi non segue il percorso di studi tradizionale rimanga in qualche modo illetterato (in realtà non è così: leggi qui, qui e qui), quando invece è risaputo che in natura l’apprendimento è auto-diretto e auto-motivato. La mentalità scolarizzata è entrata anche nelle mura domestiche e ci siamo convinti che anche come genitori dobbiamo indossare i panni dell’insegnante. Si cerca dunque di trasmettere ogni tipo di insegnamento a bambini praticamente appena nati, si organizzano tutte le loro attività e si vuole farli socializzare al più presto. In più, l’età d’inizio della formazione obbligatoria tende ad ampliarsi sulla linea del tempo (in Canton Ticino la scuola dell’obbligo inizia non più a 6 ma a 4 anni e comprende 11 anni di scuola. Ultimamente, si è parlato di estendere l’obbligatorietà fino ai 18).

Insomma, gli impegni e gli obblighi scolastici sono sempre maggiori. Vi è molta pressione sui ragazzi, che sono sempre più stressati (leggi qui). E se da una parte taluni chiedono “più scuola!” come soluzione a tutti i problemi, dall’altra non si può fare a meno di prendere in considerazione la possibilità che la fonte di quest’ultimi si anniderebbe proprio nel sistema scolastico.

A tal riguardo, le aspre critiche non mancano. Charlotte Iserbyt, che lavorava per il Dipartimento dell’Educazione USA al tempo dell’Amministrazione Reagan ha accusato la scuola di usare metodi educativi (che derivano dal comportamentismo di Pavlov, Thorndike, Skinner, i quali sostenevano che l’uomo è semplicemente un animale da addestrare) talmente condizionanti e limitanti da istupidire (e che questo sia alla base del dilagante analfabetismo e di tanti disturbi dell'apprendimento). Sulla stessa linea John T. Gatto, il quale ha affermato senza mezzi termini che la vera funzione della pedagogia è quella di rendere la popolazione facilmente gestibile, e che il danno che infligge la scuola è deliberato, intenzionale.

In relazione a ciò, per comprendere un po’ meglio tutto ciò e diradare la nebbia che solitamente si crea attorno a questo argomento, dobbiamo fare un tuffo nel passato.

Diecimila anni fa, ai tempi dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori, le cose funzionavano diversamente. I bambini crescevano liberamente, verso la loro autonomia e indipendenza. Gli adulti avevano fiducia nelle loro capacità di auto-educarsi attraverso il gioco e la sperimentazione.

Con l’agricoltura e l’industria, la vita dei bambini è radicalmente cambiata. Il mondo adulto ha iniziato a considerarli come animali da addomesticare (o allevare), e sono stati costretti al lavoro forzato.

Con la rivoluzione industriale, le scuole iniziarono a prendere le sembianze della fabbrica, e gli allievi venivano trattati come una vera e propria catena di montaggio.

Il sistema scolastico che tutti conosciamo è infatti nato come investimento per il nostro futuro economico, sulle basi dell’economia standardizzata. “Il piano: scambiare salari a breve termine di bambini lavoratori con una produttività più a lungo termine, dando ai bambini un vantaggio nell’imparare a fare esattamente quello che gli viene detto.” (Seth Godin)

Effettivamente, l’educazione di massa è stata sviluppata per indottrinare i bambini, educarli all’obbedienza e trasformarli in lavatori compiacenti e produttivi. Educare è sempre stato visto come sinonimo di inculcare, e il bambino come un vuoto creativo da riempire con le nozioni della cultura dominante, come una cera molle da plasmare a proprio piacimento.

In fondo, come pensavano grandi filosofi di un tempo, che hanno largamente influenzato gli ideatori del sistema scolastico prussiano (che si è poi diffuso a macchia d’olio a livello planetario), “L’essere umano può diventare tale soltanto attraverso l’educazione. Egli è ciò che l’educazione fa di lui.” (Immanuel Kant, 1803)

Senza educazione, sarebbe rimasto un selvaggio… o selvatico, se vogliamo fare il comune paragone con l’arboricoltura: “Senza educazione non saremmo altro che alberi selvatici, dei meli selvatici o magari qualcosa di più aspro.” (Christian Felix Weisse, Sul paragone tra educazione e arboricoltura, 1791.Tratto dal libro Pedagogia nera di K. Rutschky)

Sulla scia del pensiero di Kant, l’obbedienza è considerata una caratteristica essenziale nel carattere del bambino, e anche le scuole moderne sono state progettate su queste fondamenta. Padri fondatori del sistema educativo moderno, come August Hermann Francke (1722) e Joahnn Gottlieb Fichte (1806) sostenevano infatti che lo scopo della scuola è quello di rendere obbediente la volontà dei bambini, in modo tale che da adulti non avrebbero più potuto pensare e agire in modo diverso da quello imposto.

A conferma di ciò, secondo il primo commissario americano per l’educazione, William T. Harris, “Le scuole sono state progettate scientificamente per impedire un’educazione eccessiva.” L’uomo [“L’americano] medio avrebbe dovuto essere contento del suo umile ruolo nella vita, poiché non tentato a pensare a nessun altro ruolo.” Egli sosteneva che in ogni nazione civile il novantanove per cento delle persone sono degli automi, attenti a camminare su percorsi prestabiliti e seguire i dettami della società, e che questo è il risultato dell’educazione.

Molto semplicemente, dal XVIII secolo, considerato il secolo dell’educazione per eccellenza, l’obiettivo della pedagogia è stato quello di creare sudditi obbedienti (e totalmente incapaci di pensiero critico e indipendente) attraverso un sistema di punizioni e ricompense.

Questo traspare anche dal libro di lettura delle scuole elementari ticinesi:

“Addio, figliolo… è l’ora della scuola; Va ma bada non t’abbiano a punir.
No, mamma.
Bravo, questo mi consola: Devi sempre obbedir!
O mamma, obbedirò.
E quel bambino La promessa mantiene, il puoi veder:
L’accompagna alla scuola ogni mattino
La gioia ed il piacer.” (Lo scolaro docile, Il libro di lettura delle elementari ticinesi, 1900)

(...)

Un giorno la maestra scrisse sulla tavola nera questa domanda: “Perché venite a scuola?”
Ogni scolaretta scrisse sul proprio quadernetto la sua risposta.
La piccola Cecilia scrisse: “Vengo a scuola, perché i miei genitori me lo comandano.” Rosina rispose: “Vengo a scuola per meritarmi buone classificazioni ed il premio.”
Annetta scrisse: “Vengo a scuola per imparare le cose utili, che ora non so. Voglio imparare a ben condurre la casa quando sarò grande.”
Benissimo, cara Annetta, soggiunse la maestra, aggiungi ancora che tu vieni a scuola per diventare gentile e buona. (Perché venite a scuola?, Il libro di lettura delle elementari ticinesi, 1900)

(...)

Ella [la signora maestra] vorrebbe che tutti i bambini fossero buoni, e specialmente sinceri; odia la bugia e ripete spesso: La bugia è uno dei più brutti vizii che ci siano: ricordatevene ben bene. (La maestra di Maria, Il libro di lettura delle elementari ticinesi, 1900)

Questi testi sono letteralmente impregnati di quelle che sono considerate le due regole del codice di istruzione infantile: Sii obbediente, non mentire. (Johann Michael Sailer, Il codice dell’istruzione infantile contiene soltanto due regole, 1809. Tratto dal libro Pedagogia nera di K. Rutschky)

Si richiede obbedienza incondizionata.

La disobbedienza è severamente punita, in quanto mette in discussione il principio di subordinazione.

Bisogna essere dei bravi bambini, che tradotto significa comportarsi esattamente come gli altri vogliono e obbedire sempre ai superiori, qualsiasi cosa esigano.

I principi fondamentali dell’educazione sono ancora quelli di stampo dogmatico: sottomissione, obbedienza, abnegazione di se stessi.

In senso etimologico, ubbidire significa “Eseguire gli altrui comandamenti, sottomettersi ai voleri altrui.” Il bambino deve sottomettersi all’autorità, genitori in primis (vedi Quarto Comandamento).

Dev’essere reso docile, mansueto, obbediente.

Ecco cosa scriveva il teologo svizzero-tedesco Johann Georg Sulzer nel 1748: “Al bambino avvezzo a obbedire ai genitori piacerà anche, quando diventa libero e padrone di se stesso, sottomettersi alle leggi e alle regole della ragione, dato che è già stato avvezzo a non agire a piacer suo” (I due compiti principali spettanti all’educazione dei bambini piccoli. Tratto dal libro Pedagogia nera di K. Rutschky).

Tutto questo rispecchia i tipici tratti dell’Illuminismo, e una prospettiva educativa patriarcale sviluppata da esperti che con i bambini avevano pochissima pratica.

Questo rimane ancora oggi il metodo standard di istruzione formale.

Il punto è che l’economia è mutata radicalmente. Nelle fabbriche ci lavorano i robot, e sempre meno persone faranno lavori che possono essere automatizzati. La scuola, invece, è quella di sempre… e continua a perseguire i vecchi obiettivi… educando all’obbedienza.

Oggigiorno non è però più sufficiente presentarsi sul posto di lavoro e limitarsi a seguire ordini e direttive. La nuova economia non premia più il conformismo, la miope remissività e la cieca obbedienza. Serve coraggio, imprenditorialità, iniziativa personale, leadership.

E poi, non dimentichiamo che secondo la logica industriale, se non sei più che indispensabile, e qualcuno può fare il tuo lavoro a un costo minore (macchina o uomo che sia) la sostituzione sarà presto una certezza.

In relazione a ciò, Seth Godin pone un interessante quesito nel suo libro Non rubate i sogni — A cosa serve la scuola? (scaricalo qui) Il popolare autore americano delinea due colonne…

Colonna A
Attento
Premuroso
Impegnato
Creativo
Guidato da obiettivi
Onesto
In grado di improvvisare
Incisivo
Indipendente
Informato
Sperimentatore
Innovatore
Perspicace
Leader
Stratega
D’aiuto

OPPURE
Colonna B
Obbediente.

…e chiede: “Quale colonna scegliereste? Per chi o con chi vorreste lavorare? Chi vi piacerebbe assumere? Che dottore volete vi curi? Con chi vorreste vivere? Ultima domanda: se doveste organizzare un programma di insegnamento miliardario che dura 16 anni per formare la generazione futura che comporrà la nostra società, intorno a quale colonna lo vorreste costruire?”

Siamo nel ventunesimo secolo, ma la scuola è rimasta incastrata nella colonna B.

In passato questo sistema ha funzionato. I nostri avi hanno costruito la scuola per permettere alle persone di avere un lavoro che potesse durare fino alla pensione, in linea con il fabbisogno dell’economia dei loro tempi… (come detto, è così che è nata la scuola moderna, come investimento per il nostro futuro economico).

Per quanto riguarda il lavoro, al tempo il concetto basilare di quel che oggi conosciamo come Taylorismo era molto semplice: mettere il sistema davanti all’uomo. Se studiamo con attenzione gli avvenimenti dello scorso secolo, comprendiamo che ciò che rendeva la forza lavoro molto produttiva era appunto il sistema. Che si trattasse di Total Quality Management (TQM), Taylorismo o Fordismo, fu il sistema a fare da perno ed essere il pilastro fondamentale dell’economia del XX secolo, consentendo al lavoratore di operare in modo efficace e produttivo, senza particolari specializzazioni o qualifiche.

A scuola i bambini venivano istruiti per questo, per essere operai e consumatori, non leader e imprenditori. A scuola si insegnava a chiedere il permesso per ogni cosa, aspettare di essere scelti (il proprio turno) e eseguire le istruzioni alla lettera. Purtroppo, le cose non sono cambiate e ancora oggi funziona così anche se il lavoratore moderno è qualitativamente diverso dalla forza lavoro di un tempo, meno specializzata e meno qualificata (pertanto, la formazione che poteva andare bene un tempo, per andare poi a lavorare in fabbrica, non è più adeguata).

Inoltre, nelle fabbriche ci lavorano oggi i robot; e sempre meno esseri umani fanno, e faranno, dei lavori che possono essere automatizzati. Negli ultimi trent’anni l’economia è mutata radicalmente e stiamo oggi attraversando un altro periodo di grandi cambiamenti e transizione. Come ha evidenziato Michael Cox, capo economista della Federal Reserve Bank di Dallas, vi è un passaggio dall’occupazione nel settore dell’informazione — la cosiddetta economia della conoscenza, dove le informazioni sono utilizzate per generare valore economico — verso lavori più creativi, dove a generare valore è il potere creativo dell’immaginazione.

La tecnologia sta avanzando molto rapidamente e i lavori tradizionali stanno scomparendo a un ritmo impressionante. Automazione e intelligenza artificiale contribuiranno ad aumentare la produttività e favorire la crescita economica, ma moltissime persone saranno costrette a ambiare lavoro o comunque aggiornare le proprie competenze professionali. Entro il 2025 le macchine svolgeranno più compiti degli esseri umani, e nei prossimi due anni non meno di 54% degli impiegati necessiteranno di una riqualifica (McKinsey Global Institute). Si stima inoltre che il 65% dei bambini che iniziano oggi le scuole elementari faranno un lavoro che ancora non esiste, usando tecnologie che ancora non conosciamo (The Future of Jobs 2018, WEF). Secondo una recente ricerca condotta all’Università di Oxford, nei prossimi quindici anni circa il 50% dei posti di lavoro che conosciamo saranno a rischio, tuttavia la robotica creerà milioni di nuovi posti di lavoro (si stima che saranno 58 milioni entro il 2022: 133 milioni di posti di lavoro creati, contro i 75 milioni che spariranno).

Un’era economica sta passando, un’altra sta emergendo; e, come sempre accaduto storicamente, questi cambiamenti portano con sé un po’ di turbolenza, ma anche preziose opportunità di crescita. Come sempre accaduto in passato, vi sarà un nuovo spostamento per quanto riguarda le attività umane (come quello che ha trasformato gli agricoltori in operai, ad esempio). Il lavoro si sta evolvendo e sempre meno tempo sarà dedicato ad attività che le macchine non possono replicare, richiedendo maggiori abilità sociali/emotive e capacità cognitive più avanzate... come l’immaginazione!

La creatività è oggi considerata la qualità di leadership più importante (IBM Global Study, 2010) ed è ampiamente dimostrato che questa innata capacità umana viene uccisa dalla scuola. Perché allora ostinarci a giustificare e addirittura promuovere i vecchi metodi e modelli educativi basati su una vecchia pedagogia che ha come scopo quello di livellare, pareggiare, omologare a scapito della preziosa individualità/unicità di ognuno?

Certo, con un percorso di studi tradizionale l’allievo potrà diventare un bravo impiegato, un abile commerciante, un perfetto industriale (ci saranno ancora questi lavori nel prossimo futuro?), un lavoratore ligio al dovere, ma di scarsa immaginazione — mai una persona che crea!

La persona che crea non sarà più quella che aspetta di essere scelta e che il capo le dica esattamente cosa fare. Dal rapporto annuale 2017 della SMU Cox School of Business emerge che molti saranno coloro che inseguiranno i loro sogni imprenditoriali e artistici, inventando il proprio futuro. Allo stesso tempo, i datori di lavoro cercheranno persone creative, che sanno usare la propria immaginazione per creare maggior beneficio agli altri e a se stessi (va anche evidenziato che qui non stiamo parlando solo di aziende come Google, Hubspot, o di qualche ditta della Silicon Valley. Originalità, curiosità, apertura mentale, iniziativa, indipendenza, imprenditorialità sono tutte qualità che fanno oggi parte di un atteggiamento creativo verso il lavoro, e la vita in generale).

Bisogna avere il coraggio di dirlo: il sistema in cui viviamo e lavoriamo soffoca la libera espressione e la leadership. Va rivisto a partire dalle imprese, dalle scuole, dalla famiglia. Ma questo significa disobbedire. Ciò vuol dire ribellarsi agli schemi preconfezionati e alle idee preconcette, e reinventare la società, il business, e la formazione, promuovendo un nuovo modello educativo che rispetti la dignità e l’individualità di ognuno; e che non spinga le persone a diventare qualcun altro, soffocandone il potenziale e alienandole dalla loro vera natura, ma che ne esalti le potenzialità, supportandole a seguire/diventare se stesse.

Le forze del cambiamento e della globalizzazione stanno rimodellando tutto, compreso il modo di lavorare, il posto di lavoro, la forza lavoro ed il lavoro stesso. Un secolo e mezzo fa, i nostri avi hanno fatto un grosso investimento sul futuro dell’educazione. Per il futuro dei nostri giovani, della nostra economia, della nostra società è oggi fondamentale investire su una scuola veramente nuova, che dia l’opportunità ai giovani di essere responsabili della loro educazione e auto-formarsi per l’economia e il mondo attuale.

 

Note:

  • Come emerge dalle ricerche condotte negli Stati Uniti, l’obbedienza abituale è associata al disadattamento e quella che viene definita obbedienza compulsiva non è per niente un bene. Vari esperti affermano che i bambini che eseguono gli ordini immediatamente, senza fiatare, in modo automatico e fanno tutto ciò che viene loro detto molto spesso non realizzano se stessi, ma diventano quel che gli adulti vogliono (Compulsive compliance: The development of an inibitory coping strategy in infancy, Journal of Abnormal Child Psychology).
  • Da uno studio condotto sull’arco di cinquant’anni emerge un aumento esponenziale di controllo esterno nei bambini e questo è decisamente preoccupante. I risultati sono allarmanti, visto che sono correlati con scarso rendimento scolastico, senso di incapacità e impotenza, minore autocontrollo, incapacità di gestire lo stress, ansia e depressione (It’s beyond my control: a cross-temporal meta-analysis of increasing externality in locus of control, 1960-2002, Personality and Social Psychology Review). Al contrario, sempre più studi e ricerche dimostrano che gli effetti di più autonomia e indipendenza sono molto positivi.

 

La 4ª Rivoluzione Industriale è ufficialmente iniziata. Questa nuova economia ha reso obsoleti i vecchi modelli del passato e sta letteralmente rivoluzionando tutti gli schemi legati al consumo, alla produzione, all’occupazione. Sinora, al fattore psicologico ed all’elemento umano sono stati fortemente prediletti gli aspetti più tecnico-finanziari del business, ed il sistema è stato messo davanti all’Uomo. Oggi però — nell’era dell’informazione, della conoscenza e del significato — è il lavoratore che porta contributo al sistema e non più il contrario come nel secolo scorso. Il sistema va dunque rivisto in un’ottica che esalti le potenzialità della persona (leggi l'estratto su questo link!).

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